L’ORDINE OSIRIDEO EGIZIO

A cura della redazione del sito

 

L’Ordine Egizio affonda le sue radici nella colonia greca degli Alessandrini che si era stabilita a Napoli, nell’area circostante via Nilo e l’omonima piazzetta. Attraverso i secoli i culti egizi si adattarono alla linea magico-ermetica e a quella pitagorica, dando vita all’Ermetismo Italico e con esso alla catena iniziatica che è giunta ininterrotta fino al XX secolo. Raimondo Lullo, il grande ermetista, allievo di Arnaldo da Villanova, fu iniziato all’alchimia da una confraternita che risiedeva presso Napoli. Lo stesso Giordano Bruno e Tommaso Campanella, grandissimi esponenti dell’ermetismo italico del Rinascimento, avevano compiuto il proprio noviziato nel convento di San Domenico Maggiore, che si trova proprio alla fine di via Nilo. Altri illustrissimi ermetisti, quali Giovanni Pontano, Antonio Allegretti e Giovan’ Battista della Porta, gravitarono intorno a questo ordine napoletano. Sarà nel XVII secolo che la tradizione egizia utilizzerà la Massoneria quale vascello per trasportare il proprio bagaglio di conoscenza. Alla metà del 700 Cagliostro, le cui attività paramassoniche si ispirarono al mito egizio, si recò a Napoli con lo pseudonimo di Marchese Pellegrini, insieme alla moglie, che aveva assunto il nome di Lorenza Pellegrini, e al Cavaliere d’Aquino.

A Napoli Cagliostro entrò in contatto con il principe Raimondo Di Sangro di San Severo e con Henri Théodore de Tschoudi, i quali si interessavano già da tempo alle dottrine egizie. In questo ambiente, strettamente massonico, Cagliostro iniziò a diffondere i gradi egiziani e i gradi segreti noti come “Arcana Arcanorum” o “Scala di Napoli”. La tradizione massonico-egizia continuò in ambiente risorgimentale, con figure di spicco quali Mario Pagano e Pietro Colletta. A questi due personaggi risorgimentali, succederanno Orazio De Attellis 1774-1850, Domenico Bocchini 1775-1840, e Gabriele Rossetti 1783-1854. Quindi MichelAngelo Caetani 1804-1882, principe di Teano e duca di Sermoneta, assieme a Eduard Bulwer-Lytton 1803-1873, dai quali con ogni probabilità si formarono Pasquale de Servis 1837-1893 e Lebano. Maturata una grande passione per gli studi ermetici, nel 1833 Lytton 1803-1873 si recò in Italia per un periodo di riposo e qui trovò l’inspirazione per il più celebre dei suoi romanzi, “Gli ultimi giorni di Pompei”, pubblicato nel 1834. Durante la sua permanenza nel nostro paese, Lytton visitò Roma e soggiornò per un lungo periodo a Napoli. Presso la capitale del regno borbonico incontrò la cara amica Lady Blessington che presentò il gentiluomo d’oltremanica a sir William Gell, l’illustre topografo di Pompei. Il nostro personaggio era un grande ammiratore del romanziere scozzese Walter Scott il quale, in occasione del suo soggiorno nella capitale del regno delle Due Sicilie aveva visitato Pozzuoli, Cuma e le rovine di Pompei, accompagnato da quella guida insuperabile che era appunto Gell. Quest’ultimo nonostante soffrisse di una grave forma di gotta che lo costingerva a spostarsi a bordo di una portantina, fu lieto di accompagnare l’ospite di Lady Blessington in giro per Pompei. Fu dunque il buon sir William a mettere in contatto il Lytton con gli esponenti della tradizione magica partenopea ed in particolare con Domenico Bocchini che iniziò l’inglese nelle catacombe di San Gennaro a Capodimonte. Nel 1842 il Lytton pubblicò lo Zanoni, romanzo che Giuliano Kremmerz citò nel suo Corpus Philosophicum Totius Magiae quale sinificativa testimonianza della cultura magica partenopa ed italica dell’800. Il nostro personaggio venne inoltre fortemente suggestionato dagli scritti di Eliphas Levi che incontrò nel 1854 a Londra. Insieme al maestro francese, l’inglese tentò un’operazione magica sulla sommità del Panteon della capitale britannica, che secondo A.E.Waite, prevedeva l’evocazione del mago dell’antichità Apollonio di Tiana. Nel corso degli anni ’60 Bulwer-Lytton incontrò a Londra l’avvocato Giustiniano Lebano all’epoca esule politico in Francia, con il quale instaurò stabili relazioni a livello iniziatico. Le frequentazioni di Sairitis-Hus con gli esponenti della cultura ermetica europea, furono importantissime poichè avrebbero decisivamente influenzato la scuola tradizionale partenopea post-unitaria. Il legame tra il Lytton ed il regno Borbonico fu estremamente profondo tanto che, nel 1859, il direttore degli scavi di Pompei decise di donare allo scrittore inglese due crani che si dicevano appartenuti ai sacerdoti Arbace e Calinus, protagonisti de “Gli ultimi giorni di Pompei”.

Nel 1871 il nostro personaggio venne insignito della carica onorifica di Gran Patrono della “Societas Rosicruciana in Anglia”, sembra a sua insaputa.

Negli anni ’70 si trovava in Inghilterra l’americano Charles Godfrey Leland.

Nato a Filadelfia il 15 agosto 1824 da Charlotte Godfrey ed Henry Leland, tale personaggio si appassionò fin da ragazzo alle tematiche acculte ed a 17 anni manocritto latino. Viaggiò senza sosta per tutta l’Europa alla ricerca dell’antica sapienza arcana e, trovatosi in Inghilterra per studiare le tradizioni celtiche e le dottrine rosicruciane, incontrò l’ormai vecchio sir Edward. Questi lo iniziò all’ermetismo alchemico facendogli altresi conoscere le opere e la dottrina di Eliphas Levi. L’incontro con il Lytton si rivelò decisivo poiché proprio attraverso le raccomandazioni di tale personaggio, qualche anno dopo Leland giunse a Napoli e qui dovette quasi certamente fare conoscenza del maestro Sairitis Hus e della sua cerchia Osiridea Egizia tradizionale. Sir Edward morì a Torquay nel 1873. Della vita del Lebano conosciamo quello che un suo ammiratore e forse discepolo, Gerardo Laurini, scrisse sul giornale salernitano “Irno” nel 1901 e che riporto per intero: ” Chi capita a Torre Annunziata e vi si ferma magari due o tre giorni non può non sapere che colà vive un uomo dotato di una mente davvero superiore, di una vasta cultura classica, di un animo aperto, mite, nobilissimo, instancabile nel beneficare, nonostante che spesso abbia avuto ed abbia ingratitudini non poche e non poche guerricciole volgari, delle quali egli né duolsi mai né serba il minimo rancore; giacché come un antico sapiente ben comprende e compatisce le debolezze e gli errori dell’umana natura.

Quest’uomo è il comm. Giustiniano Lebano. Piacemi di scriver di lui nel simpatico Irno, perché la sua famiglia è oriunda di questa provincia. Suo padre avv. Filippo era di Sessa Cilento, donde insieme colla moglie Maria Acampora fu costretto ad emigrare a cagione delle sue idee liberali. E si stabilì a Napoli. Ivi il 14 Maggio del 1832 nacque Giustiniano. Fin dai primi anni costui mostrò ingegno svegliatissimo e grande inclinazione agli studi letterarii. Fu affidato perciò alle cure dei più valorosi e rinomati insegnanti. Il Puoti, il Fabbricatore, e l’abate Fornari gl’insegnarono l’italiano,il Parascandalo e un dotto gesuita il latino, il canonico Lucignano il greco e il canonico Ferrigni l’ebraico. Tutti meravigliavano della straordinaria prontezza che il giovanetto usava nel vincere le più grandi difficoltà di coteste lingue, nella cui completa e perfetta conoscenza diè bella e solennissima prova negli esami che sostenne il 21 settembre 1849 nella R. Università al cospetto di uomini gravi ed eruditissimi, i quali nel consegnargli il diploma di dottore in lettere e filosofia gli fecero le più ampie lodi. Ma egli non si stette pago a tali lodi: non si riposò, come suol dirsi, sugli allori; e volle studiare giurisprudenza. E studiò il diritto civile col celebre Roberto Savarese, il diritto penale col consigliere Caracciolo, il diritto canonico e il diritto di natura e delle genti col canonico Soltuerio e con don Vincenzo Balzano, vicario dell’Arcivescovado.

Aveva appena 21 anni, quando, abilitato agl’esami dal canonico Apuzzo, conseguì la laurea in Giurisprudenza. Cominciò subito ad esercitare l’avvocatura con felice successo. E nello stesso tempo insegnava privatamente diritto civile e canonico e pubblicava opere scientifiche e letterarie che levavano gran rumore per le discussioni a cui davan luogo. Nel luglio del 1854 fu iscritto nell’albo dei procuratori della Corte d’Appello. Il giovane Lebano, allievo d’insegnanti quasi tutti preti e gesuiti, avrebbe dovuto avere idee naturalmente assai retrograde. Pure, fosse l’educazione paterna, fosse il grande acume con cui aveva studiato i classici, fosse, che è più, l’elevatezza dei suoi sentimenti, non tardò ad iscriversi alla società segreta Giovine Italia, della quale divenne in breve tempo un adepto così prezioso ed importante che d’un tratto fu innalzato alla carica di Gran Maestro del Rito Egiziano, il cui precipuo intento era non pure l’indipendenza e l’unità della patria, ma anche la caduta del potere temporale dei papi. L’opera sua di cospiratore fu efficacissima fino al 1870. Si narrano varii aneddoti caratteristici circa i mezzi, dei quali si serviva sia nella propaganda delle idee liberali, sia nell’eludere la severa vigilanza della polizia. Ne ricordo uno assai curioso. Nel 1852 si pubblicava a Napoli il “Cattolico”, giornale diretto da preti. Ebbene – chi lo crederebbe? – proprio su quel giornale Giustiniano Lebano stampava prose e poesie, che mentre sembravano ispirare a sentimenti borbonici e clericali, per chi sapeva leggere sotto il velame delli versi strani, celavano le idee più ribelli, le accuse più atroci e terribili contro il dispotismo. E quei preti baggei non ne capivano un frullo, con gran gusto del Lebano e de li altri patrioti come Vanni e Fucci. Sennonché i cento occhi di Argo della polizia riuscirono a scoprire nel Lebano ciò che ai preti del “Cattolico” era sfuggito. E lo spiavano di continuo seguendo ogni suo passo. Ma egli seppe accoccarla anche ai suoi segugi. Avvertito che sarebbe stato arrestato da un momento all’altro, andò a cercar rifugio in un monastero, il cui padre guardiano, che era suo intimo amico e che nutriva sentimenti liberali al par di lui, gli fece radere i baffi e indossare le lane di S. Francesco. Un commissario di polizia andò una sera dal padre guardiano, e questi gli presentò il Lebano non ricordo sotto qual nome di frate. Giustiniano Lebano si divertì un mondo col commissario, che andava appunto in cerca di lui e che di lui parlò per l’intera serata, giurando e spergiurando che presto avrebbe avuto fra le sue unghie un essere così pericoloso. Il girono dopo il finto frate con una bisaccia addosso varcò i confini del Regno e, non molestato, riparò a Torino, portando seco una copiosa corrispondenza ai patrioti ivi esulati. Durante la sua dimora in Piemonte ebbe occasione di conoscere gli uomini più illustri del nostro risorgimento. Ritornato a Napoli nel 1860, riprese l’esercizio dell’avvocatura. Il Ministro Raffaele Conforti, che molto lo stimava, lo nominò subito deputato della commissione filantropica dell’esercito garibaldino. Compiuto scrupolosamente quest’incarico, altri importanti ed onorevoli ufficii egli ebbe dallo stesso ministro Pisanelli, come quelle di membro della Commissione per la compilazione delle liste elettorali, di deputato per gli alloggi dell’esercito italiano, ecc. Anche il Municipio di Napoli volle attestargli la sua fiducia nominandolo presidente del Comitato che colle rendite del comune distribuiva beni ai poveri della città per rendere men cruda la loro miseria, che in quell’anno era grandissima. Per queste ed altre benemerenze, il Lebano ottenne varii titoli onorifici. Nel 1868, perduti tre figli, assalito da una indicibile tristezza, si ritirò in una villa presso Torre del Greco. La moglie Verginia per tale irreparabile perdita, fu presa d’alienazione mentale, e si fece a consagrare alle fiamme, titoli di rendita, oggetti d’oro, documenti di famiglia e politici. Il famigerato brigante Pilone, che faceva delle continue scorrerie per quei d’intorni, tentava di catturarlo. Il governo mandò al lebano due guardie che scongiurarono il pericolo. Le opere di beneficenza di Giustiniano Lebano sono innumerevoli. Nel 1870 una grande carestia affliggeva i campagnoli di Torre del greco. Il Lebano dal novembre al maggio anticipò ai suoi coloni oltre seicento quintali di farina e mille quintali di granturco. Diede loro anche trecento quintali di zolfo per le viti. In quel medesimo anno, comperata una proprietà a Torre Annunziata, per dar lavoro agl’operai disoccupati, mise su uno studio di commercio. Ciò che più gli fa onore è la fondazione di tre ospizii pei poveri, di due orfanotrofi e di due istituti per fanciulle, uno a Sorrento e un altro a Palma Campania. Specie a quest’ultimo egli consacra tutte le sue cure e dà gran parte delle sue sostanze.

Largamente munifico, è benedetto da tutti i sofferenti, che riccorrono a lui o per consigli o per aiuti. Nelle ultime elezioni amministrative fu eletto consigliere, e poi assessore del comune. Non è a dire lo zelo ch’egli pone nel disimpegno dell’officio suo.

Giustiniano Lebano sembra più giovane di molti giovani d’oggi. Ha fede invitta nelle magnanime idee di umanità e di progresso. E questa fede gli perpetua la gioventù. Dal suo volto roseo e ancor fresco spira una simpatia fascinatrice, un’aura di sconfinata dolcezza. Egli vivrà ancora molti anni, perché ha forse un’alta missione da compiere. Studia e scrive sempre. Interroga le pagine polverose dei più

antichi scrittori, i quali nella solitudine della sua villa, posta alle falde del Vesuvio, sulla via che da Torre Annunziata mena a Boscotrecase, lo incoraggiano a perseverare a far bene. Checché gliene avvenga. Innanzi a Giustiniano Lebano in tempi di egoismo cinico e ributtante, quali sono i nostri, chiunque serba un culto per la virtù deve riverentemente inchinarsi. Egli è il più grande filantropo di Torre Annunziata e sto, per dire, di altrove. Ed io che ho avuto l’inestimabile fortuna di conoscerlo sono orgoglioso di dirmi suo sincero e caldo ammiratore.” Ulteriori notizie sulla vita di Sairitis trapelano dagli studi di Introvigne e varie riviste tra cui “Politica Romana”, da cui sappiamo che egli fu maestro dignitario della massoneria ufficiale del Grande Oriente, della Società Teosofica, del Rito di Memphis di Pessina, e poi dei riti egiziani unificati da Garibaldi.

Molti sostengono che durante il suo soggiorno in Piemonte il Lebano abbia stretto contatti con il conte bolognese Livio Zambeccari (1802-1862) che fu cospiratore del primo Risorgimento, colonnello garibaldino e principe di Rosacroce del Rito scozzese, che l’8 Ottobre del 1859, con altri sette fratelli massoni costituì la Gran Loggia Ausonia. Lebano certamente fece parte, assieme al barone Spedalieri e a Pasquale de Servis allora ex sottoufficiale del genio Borbonico, di un circolo martinista operante a Napoli, sin dalla fine del settecento in stretti rapporti con la “società magnetica” di Avignone facente riferimento ad Eliphas Levi. La famosa fondatrice della Società Teosofica: Melena Petrovna Blavatsky volle incontrare il Lebano soggiornando per circa tre mesi all’hotel Vesuvio di Torre del Greco. Dunque questo può farci comprendere quale grande personalità fu.

Sull’Ordine Osirideo il Gonnella scrive: “Il Grante oriente Egizio fu espressione a sua volta e sede centrale di un Ordine osirideo Egizio che si lascia intendere scaturire dal filone iniziatico napoletano dai tempi del passaggio a Napoli di Cagliostro, che avrebbe raccolto l’eredità iniziatica del principe Raimondo de Sangro grazie al cugino di questi Luigi d’Acquino.”

Ma è certamente in Domenico Bocchini alias Nicodemo Occhiboni che dobbiamo trovare il capostipite del suddetto ordine. Bocchini fu un letterato, un avvocato, un massone e un rosacroce affiliato alla Carboneria. Era di origini lucane, nacque ad Avigliano nel 1775. Il suo fervore patriota si evinse sin da giovane quando fece carriera nelle fila dell’esercito napoletano Bonapartista e murattiniano poi, quindi una volta congedato esercitò l’incarico di magistrato e dopo di avvocato. Nel 1815 fu ammesso alla Loggia massonica “La Vigilanza” presieduta dal Maestro Venerabile Pietro Colletta a sua volta aderente al Rito Egiziano del barone napoletano Lorenzo de Montemayor. Successivamente soggiornò in Francia dove aderì al Rito Massonico di Misraim dei fratelli Bèdarride. Lo ritroviamo qualche anno dopo a Napoli nella loggia “La Folgore”. Negl’anni trenta dell’ottocento incontrò il giovane Pasquale de Servis del quale fu con alta probabilità un maestro.

Va precisato che Lebano in realtà non fu allievo del Bocchini, come risulta dalle date il suo primo iniziatore fu suo padre Filippo Lebano, con il quale Bocchini condivise la comune passione per le scienze ermetiche e le idee politiche liberali, la frequentazione fra i due era assidua e continuò fino alla morte di Filippo verificatasi il 23 agosto del 1832.

Questi lasciava la giovane moglie, i due figli primi di letto, Francesco e Marianna, ed i due di secondo letto, Filippo e Giustiniano; ecco perché si dice che Lebano fu allievo indiretto del Bocchini. Alcune opere del Bocchini, di cui consiglio la lettura, contengono verità e simbolismi d’altissimo pregio tra cui: “Il Congresso delle Ombre”, “La Cyrno Cacogenia proscrita” ed il settimanale “Il Geronta Sebezio” di alcune opere del nostro autore tra cui “Il Cielo Ubrico” sarà Lebano a curarne la stesura. Poi accanto a questi un’altra figura di primo piano fu il giacobino, Gran Maestro della Massoneria Scozzese per gli Stati Uniti e l’emisfero Occidentale, nonché Carbonaro Orazio de Attelis (1774-1850) a cui il Kremmerz nel suo ” I Dialoghi sull’ermetismo” fa riferimento con l’anagramma ‘Setteali’. Una cosa è dunque certa Orazio De Attelis, e Domenico Bocchini furono eredi degl’insegnamenti di Cagliostro e di San Severo quindi fondatori della struttura iniziatica denominata Ordine Osirideo Egizio posto sotto la protezione del Grande Oriente Egiziano, ed il cui compito era la perpetuazione dell’insegnamento della Scienza Sacra, la perfezione delle virtù del cuore dell’iniziato, lo sviluppo dei poteri psichici, e la manifestazione delle forze occulte. Ai personaggi sopra citati vanno poi aggiunti quali caposcuola il principe di Trifase e Moliterno Giuseppe Gallone di Nociglia, il maestro martinista e dotto conoscitore delle tecniche del magnetismo, Di Crescenzo Ascione.

Dopo la morte di Izar, quindi si formò una nuova terna, preposta alla direzione dell’Ordine. Accanto a Lebano figuravano Leone Caetani 1869-1935, nipote di Michelangelo Caetani, e Giuliano Kremmerz, 1861-1930, con il Lebano alla guida del gruppo. Successivamente si evidenziarono figure di spicco quali Eugenio Jacobitti 1868-1946, Giacomo Catinella 1876-1943, e Arturo Reghini 1878-1946. Abbiamo visto come fino alla fine del 1800, l’Ordine Egizio si fosse servito, quale ponte verso il mondo profano, di logge massoniche “egizie”. Kremmerz, tuttavia, decise, con l’approvazione dell’Ordine Egizio di modificare tale indirizzo, sostituendo alle logge le accademie miriamiche. Così come la Miryam si costituì come ponte tra il volgo e l’Ordine Osirideo Egizio, quest’ultimo si costituì a sua volta come ponte tra la Miryam e l’Ordine Egizio.

Tuttavia il tratto di ponte che separava l’Ordine Osirideo Egizio dall’Ordine Egizio non fu mai attraversato da nessuno, dato che sia la Miryam che l’Ordine Osirideo Egizio furono iniziative del Kremmerz mai condivise veramente dalle alte gerarchie dell’Ordine Egizio, che nonostante la sua iniziale autorizzazione le visse sempre come una profanazione.

Ciò che permise al Kremmerz di portare avanti i propri progetti, nonostante il disaccordo generale dell’Ordine Egizio, furono l’enorme stima di cui godeva Izar, già Gran Maestro dell’Ordine, e l’ammirazione nei riguardi del Kremmerz da parte di Giustiniano Lebano, che vedeva nel Kremmerz il suo futuro successore. L’Ordine Osirideo Egizio nacque quindi come garante del lavoro svolto dal Kremmerz e fu il risultato di un compromesso tra lui e l’Ordine Egizio. Ma per Lebano il lavoro di divulgazione del Kremmerz era inconcepibile, al puntò che ne rinnegò l’ amicizia. Leone Caetani, invece, collaborò con il Kremmerz fino al 1910, per poi ritirarsi a Vancouver, in Canada. E’ possibile che l’Ordine Egizio sia sopravvissuto fino ai giorni nostri, in completo anonimato? A supporto di tale tesi ci sarebbe la documentazione epistolare che si tenne tra Domenico Lombardi e Pietro Suglia, diretto discendente del Dott. Bonabitacola alla direzione del Circolo Virgiliano di Roma e appartenente all’Ordine Osirideo Egizio. Nel settembre del 1947 Domenico Lombardi, in qualità di Delegato Generale, diramò una circolare: “Circolare per Mantenere la Regolare Continuità della Fr+ Tm+ di Mir+”. In quella data la Segreteria Generale era già stata trasferita a Firenze e Alfonso Del Guercio ne era diventata Segretario. Alla nuova delegazione aderì soltanto Donato De Cristo dell’Accademia Pitagora di Bari. Pietro Suglia non intese aderire alla nuova delegazione rivendicando un contatto diretto con il Cap+ Op+, e sottolineando l’impossibilità di mancare all’incarico, affidatogli dal Dott. Bonabitacola, di consegnare un plico direttamente nella mani delle alte gerarchie del Grande Oriente Egizio. Ora, dato che l’Ordine Osirideo Egizio era allora rappresentato da Arduino Anglisani, Mario Parascandalo, Augusto Lista, Carlo Coraggia, Alfonso del Guercio, Pietro Suglia e dallo stesso Domenico Lombardi, e ammesso che Pietro Suglia dicesse la verità, le alte gerarchie a cui lui si riferiva, dovevano necessariamente appartenere ad un altro ordine, superiore a quello, cioè all’Ordine Egizio.

 

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