L’Alchimia è da sempre considerata una terra misteriosa, che parla attraverso i simboli. L’attività alchemica si prefissava come obiettivo la trasformazione di metalli poveri in oro e la ricerca dell’elisir di lunga vita. L’alchimista osservava la natura e ne interpretava i simboli.
Sul ruolo della donna nell’arte alchemica si hanno poche notizie. Tuttavia, è erroneo pensare che l’alchimia sia stata praticata esclusivamente dagli uomini. Nel processo alchemico della produzione della pietra filosofale il femminile risultò un elemento essenziale. Infatti, fondamentale fu la collaborazione tra Nicolas Flamel e la moglie Perenelle durante il procedimento alchemico della trasmutazione: l’unione del maschile e del femminile permise il raggiungimento dell’Armonia degli Opposti.
I pregiudizi e le imposizioni sociali hanno impedito la conoscenza di una vasta tradizione tutta al femminile nel campo alchemico. Ciononostante, l’Alchimia può vantare alcuni nomi femminili che nel tempo si sono trasformati in leggende.
L’Alchimia femminile: il caso di Maria l’Ebrea
Non è facile collocare sia cronologicamente sia geograficamente la figura di Maria l’Ebrea. Nota anche come Miriam o Maria la Profetessa, visse probabilmente tra il I e il III secolo d.C. La leggenda la designò come la sorella di Mosè, collocandola addirittura prima della nascita di Cristo.
Maria l’Ebrea
Una menziona più certa di Maria si ha attraverso la più antica opera alchemica conosciuta, scritta da Zosimo di Panopoli. Nelle sue “Visioni” lo scrittore attribuisce a Maria l’Ebrea il merito di aver inventato strumenti per mettere a punto nuovi metodi di distillazione e sublimazione delle sostanze. È a lei che oggi si deve la comune pratica della cottura a bagnomaria, ossia l’uso del doppio bollitore. Altra invenzione fondamentale nel processo alchemico fu il kerotakis, utilizzato per la sublimazione di sostanze, con il quale raggiunse il primo stadio della trasmutazione verso l’oro.
Maria la “saggia” scrisse diverse opere di alchimia, ma ci sono giunte attraverso una tradizione indiretta di autori successivi. Grazie ad una lunga citazione di un anonimo filosofo cristiano, si conosce lo scritto noto come Dialogo di Maria e Aros sul magistero dell’alchimia. Gli Assiomi di Maria presenti nel testo diventarono fondamentali per le operazioni nell’arte alchemica. Maria descrive le quattro fasi dell’alchimia che presero il nome dei quattro colori fondamentali della pittura greca: nero, bianco, giallo e rosso.
Fu, dunque, una donna a gettare le basi per le pratiche alchemiche successive e per la nascita della chimica moderna.
Isabella Cortese: alchimista italiana
Una figura criptica nel campo dell’alchimia “rosa” è quella di Isabella Cortese. Il suo libro I segreti della signora Isabella Cortese (1561) è una mescolanza di pratiche igieniche, cosmetici e ricette per trasmutare i metalli in oro. L’impostazione dell’opera rispecchia lo schema di altri scritti alchemici dell’epoca. Il linguaggio alchemico era precisato sin dal sottotitolo:
ALLORA CAVA FUORI IL FUOCO, E PRESTO METTI SU IL MERCURIO PER QUEL PIPPIO E SERRA BEN IL PIPPIO CON LUTO ET ALLORA L’ARGENTO VIVO PER LA FORTEZZA DEL CALDO CHE TRUOVA COSÌ REPENTINO SI CORROMPERÀ E DILEGUARÀ, E PARTE VERRÀ IN ACQUA, CIOÈ ALQUANTE GOCCIOLE, E PARTE SE NÍATTACCHERÀ AL FONDO DEL VASO IN TERRA NERA, E LASSERAI RAFFREDDARE IL VASO, E POI APRILO, E TROVERAI L’ARGENTO VIVO TUTTO NERO, QUALE CAVA FUORI E BEN LAVALO.
È stato ipotizzato che il nome Isabella Cortese sia in realtà lo pseudonimo di uno scrittore, ma la trattazione di temi prettamente femminili ha smontato la tesi. Questa ipotesi deriverebbe dall’assenza di informazioni relativi al nome della donna in numerosi testamenti del XVI secolo e nella genealogia della famiglia Cortese. Nessun riferimento sarebbe presente nemmeno nelle biografie mediche dell’epoca. È d’altronde comprensibile lo scalpore che un tale scritto avrebbe potuto generare proprio perché partorito dalla mente di una donna, per giunta arguta e incline alla cultura scientifica.
La sensibilità femminile e la naturale propensione all’Alchimia
Ai due esempi sopra riportati si aggiungono altri nomi femminili che hanno praticato l’Alchimia. La principessa Marie Anne, moglie del principe Flavio Orsini, è passata alla storia per aver distillato nel suo castello di Nerola l’olio essenziale dei fiori d’arancio amaro, che oggi dà il particolare sapore alla famosa pastiera napoletana.
Caterina Sforza
L’Alchimia ha conosciuto l’eccellente lavoro di Caterina Sforza, nota per il suo carattere vigoroso ed esuberante, raccogliendo nel suo Liber de experimentis Caterinae Sfortiae una serie di ricette riguardanti la medicina, la chimica e la cosmesi. Nel suo Ricettario è presente una formula medica con funzione anestetica, contenente oppio, foglie di mandragola e altre droghe.
La presenza di figure femminili in campo alchemico è sintomo di una spiccata sensibilità ed intuito, oltre che di una cultura di livello avanzato. La propensione naturale della donna ad interpretare i simboli della natura proviene da tempi antichissimi.
La forza vitale ed istintiva della donna stabilisce un legame indissolubile con la natura: tutte le divinità legate alla Terra erano figure femminili. Le donne sapienti del passato, etichettate come streghe, erano le custodi dei misteri occulti dell’esistenza. I riti della vita erano nelle loro mani: alla donna spettava la procreazione, la nascita, e il congedo finale, la morte, con la cura dei figli e del marito.
Nonostante i secoli di sottomissione e di chiusura nei confronti del mondo femminile, le donne hanno sempre trovato il modo di lasciare un segno nella storia. Anche in un campo misterioso come quello dell’Alchimia, di cui ancora oggi si sa poco, la donna ha avuto tanto da insegnare.
(A cura di Eiael)