SULL’ INTROSPEZIONE

METODO SOGGETTIVO – Lo studioso studia se stesso, non credendo ma esperimentando per convincersi di ciò che è la verità. Il discepolo per tutta la giornata, in tutti i momenti, per tutte le piccole cose della vita deve fare esercizi di intuizione per decidere sul da farsi. Ciò è comunicare con l’invisibile. Acquista così un senso che manca agli altri e che lo guida infallibilmente in tutte le cose indicandogli la verità.  (Dal dizionario dei termini ermetici dell’ Opera Omnia pag. 263)

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Cari lettori, questa spiegazione generale sul metodo soggettivo riportata sopra è solo una delle definizioni scritte da Giuliano Kremmerz nei suoi libri,  perciò  chiunque volesse leggere le altre, le potrà trovare raccolte e curate da Ugo Danilo Cisaria nel  Dizionario  ma, nel caso in cui qualcuno non disponesse della pubblicazione potrà scriverci attraverso il sito e gli verranno integrate le parti mancanti che qui non rendiamo disponibili per motivi di composizione.

La prima frase della definizione afferma che lo studioso studia se stesso. Leggendola, a prima vista, l’intelletto afferra il concetto superficiale di “studia se stesso”, ma,  se non lo ha mai fatto, al porsi delle domande “ma come si fa?” e “perché lo si fa?” difficilmente l’intelletto saprà rispondere.

Lo scopo  comunque non è quello di rispondere a delle domande bensì è quello di acquisire una coscienza diretta di ciò che si è.

Lo studioso studia se stesso perché esso stesso è soggetto e oggetto da evolvere, un oggetto che all’inizio egli non è abituato a vedere, a interrogare, a capirne le risposte per indagarne l’essenza.

Però a questo punto voglio cambiare l’orientamento dello scritto e non procedere in funzione esplicativa bensì in funzione condivisiva e testimoniale-esperienziale e dunque soggettiva.

L’introspezione per me è come leggere un libro. Prendo un libro e m’immergo in una storia fatta di capitoli, eventi, momenti, riflessioni, scoperte. Quando leggo in me faccio la stessa cosa, mi apro su un capitolo e leggo, ovvero, osservo lo svolgersi del concatenamento degli eventi saldati insieme: parole, emozioni, pensieri, impulsi, lampi di immagini, di suoni, insomma, osservo tutta quell’ attività tipica che si svolge in me.

Precedentemente invece ciò non lo facevo accadere.

Diverse volte ho sfogliato delle riviste in una sala d’attesa medica, sulla poltroncina di un aeroporto, senza però leggere e capire le relazioni fra i contenuti espressi nelle pagine assemblate per comunicare un messaggio appositamente composto dal redattore della rivista per esprimere concetti precisi e suscitare reazione determinate al lettore.

Per tanti anni, interiormente mi ero comportato così, guardavo superficialmente ciò che accadeva in me, con la convinzione che tutto ciò che dentro viveva era immutabile giacché stabilito da un disegno incorreggibile, e convinto del fatto che tutto dipendesse dal denaro e dal cervello al servizio della furbizia.

Dopo un po’ però mi sono accorto che le storie si ripetevano ciclicamente e di conseguenza anche ciò che in me si manifestava, e questo ripetersi ciclico non mi aveva persuaso.

Avevo provato a cambiare diverse cose ma erano tutte esterne a me, fuori di me, e così, giacché dentro rimanevo sostanzialmente uguale, tutto fuori uguale rimaneva.

Gli sforzi muscolari, la forza bruta, la prepotenza,  non mi aiutavano.

Dunque ho iniziato a leggere il mio libro interiore, ma non subito, non potevo.

Non sapevo come si leggesse dentro di me, per cui prima di farlo ho iniziato ad osservare il mio alfabeto interiore, poi la combinazione delle lettere e via di seguito.

L’invisibile ha un suo modo di parlare, di comunicare.

Anche quando noi non siamo pronti a leggerlo, l’invisibile comunque comunica, un po’ come fanno la mamme o il papà che parla al proprio neonato. Parla con lui sapendo che prima o poi il bambino risponderà, all’inizio con qualche suono ma poi col tempo e l’esercizio giornaliero si capiranno bene e per intero.

Questo è ciò che ho portato avanti con gli esercizi quotidiani per l’intuizione e le risposte sono arrivate.

Tutto ciò mi ha aiutato ad approdare all’ermetismo kremmerziano e alla Fratellanza di Myriam. Nell’accademia poi, grazie ai riti, ai digiuni, all’ impegno e all’amore profuso dai fratelli e dalle sorelle, questa attività introspettiva attiva è migliorata fino ad arrivare, come Giuliano Kremmerz ci ha scritto, alla chiaroveggenza tipica della magia isiaca.

Anche se gli effetti del metodo soggettivo possono essere comuni a molti, per me ha avuto la caratteristica di essere ‘unico’. Ogni studioso basa la propria riuscita in relazione a piccoli esperimenti giornalieri ‘unici’ dai quali trae risposte ‘uniche’, non pienamente adattabili agli altri e quindi non mutuabili.

Ognuno di noi è creatore di se stesso qui sulla terra ed è per questo che l’indagine non può seguire il percorso oggettivo richiesto da alcuni.

Dopo aver parlato del metodo soggettivo, l’ultima cosa che voglio scrivere riguarda tutte quelle regole che invece avevo imparato dal metodo oggettivo.

In mancanza delle verità che lo studioso scopre con il proprio lavoro, si manifesta tutta la necessità delle regole oggettive. Senza queste,  la vita profana interiore sarebbe un tormento di dubbio e di continua irrequietezza.

Il misticismo trova collocazione nell’ uomo  attraverso la necessità a sua volta generata dalla mancanza della verità soggettiva e questo rende l’ uomo schiavo di chi si professa sapiente e gli vincola lo spirito alla catena dell’ignoranza, e lo beffa facendolo sentire nel giusto.

Artemidoro il doppio

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