LA VIA DEL RISVEGLIO SECONDO GUSTAVO MEYRINK

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(Prima versione dal tedesco di Enrico Rocca)

 

Il principio è ciò che all’uomo manca.

E non che sia tanto difficile trovarlo. Ề anzi proprio il preconcetto di doverlo trovare che costituisce impedimento.

La vita è piena di grazia; ad ogni istante ci dona un principio. Ad ogni secondo siamo investiti dalla domanda: «Chi sono io?». Noi non la poniamo. E questa è la ragione per cui non troviamo il principio.

Se però una volta seriamente la poniamo, già spunta il giorno, il cui rosso tramonto significa morte per quei pensieri che son penetrati nell’aula dei Re e vivono da parassiti alla mensa dell’anima nostra.

Lo scoglio corallifero che essi con diligenza da infusori si sono andati costruendo nel corso dei secoli e che noi chiamiamo «il nostro corpo», è opera loro ed è il luogo dove albergano e vanno prolificando. Noi dobbiamo innanzitutto aprire una breccia in questo scoglio di calce e colla e poi ridissolverlo in quello spirito che esso inizialmente era, se intendiamo riguadagnare il libero mare.

 

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Chi non impara a vedere in terra, di là non lo impara di certo.

La chiave della potenza sulla natura inferiore è arrugginita fin dal diluvio. Essa si chiama essere sveglio.

Essere svegli è tutto.

Di nulla l’uomo è così fermamente persuaso quanto di essere sveglio. In verità egli è imprigionato in una rete di sonno e di sogno che egli stesso ha intessuto. Più fitta è questa rete e più potente signoreggia il sonno. Quelli che vi sono impigliati passano nella vita come un gregge al macello, ottusi, indifferenti e senza pensieri.

Essere svegli è tutto.

Il primo passo in questo senso è così facile che anche un bimbo lo sa fare; solo il malcolto ha disimparato a camminare e resta paralizzato d’ambo i piedi perché non vuol fare a meno delle stampelle che ha ereditato dai suoi antenati.

Sii sveglio qualunque cosa tu imprenda! Non credere di esserlo di già. No: tu dormi e sogni.

Irrigidisciti tutto, raccogliti bene e costringiti un momento solo alla sensazione che ti traversa con un brivido il corpo: «ORA SONO SVEGLIO!».

Se ti riesce di sentire questo, riconoscerai pure d’un tratto che lo stato cui solo un istante prima ti trovavi non appare al confronto che come stordimento e sonnolenza.

Ed è questo il primo passo esitante per un lungo, lungo migrare dalla servitù all’onnipotenza.

Cammina in questo modo da risveglio a risveglio.

No v’è pensiero tormentoso che così non possa sbandire; esso resta indietro e non può più sollevarsi fino a te; tu lo sovrasti, così come la corona di un albero cresce spaziando al disopra dei rami inariditi.

Cadranno da te i dolori come foglie appassite, una volta che tu sia tanto innanzi, che codesto risveglio s’impossessi del tuo stesso corpo.

Le gelide immersioni degli Ebrei e dei Brahmani, le notturne veglie dei discepoli del Buddha e degli asceti cristiani, i supplizi infittisi dai fachiri indù per non addormentarsi, altro non sono che riti esteriori cristallizzati, frantumi di colonne che rivelano ai cercatori: «Qui in grigi evi lontani si erigeva un tempio arcano di “Volere essere svegli”».

Leggi le sacre scritture d’ogni popolo della terra; passa traverso esse il filo rosso della dottrina arcana del risveglio. Ề la Scala Celeste di Giacobbe che lottò con l’angelo del Signore tutta la «notte» finché non si fece «giorno», ed egli riportò la vittoria.

Dall’uno all’altro gradino di un risveglio sempre più chiaro e distinto tu devi salire se vuoi uccidere la morte, la cui corazza ha per piastre il sonno, il sogno e lo stordimento.

Pensa soltanto che l’infimo gradino di codesta Scala Celeste si chiama Genio. Che nome dovremmo da allora ai più alti gradi? Essi restano ignoti alle moltitudini e vengono ritenuti leggenda.

Sulla via del risveglio il primo gradino che ti danneggerà il passo sarà il tuo stesso corpo. Fino al primo canto del gallo egli combatterà contro di te. Quando però tu sia riuscito a vedere il sonno dell’eterno risveglio che ti stranierà dalla schiera dei sonnambuli che credono di essere uomini e non sanno d’essere degli dèi dormienti, allora sparirà per te anche il sonno del corpo e l’universo intero ti sarò soggetto.

Allora potrai fare miracoli, se vorrai, e non dovrai attendere, umile, gemebondo schiavo, che un crudele Dio si compiaccia di farti grazia – o di farti spiccare la testa.

Certo: la felicità del cane fedele e scodinzolante, quella di sapere un padrone sopra di sé a cui si possa servire, codesta felicità s’infrangerà per te. Ma interrogati bene e rispondimi: vorresti tu cambiarti, uomo quale sei ancora, col tuo cane?

 

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Ognuno che senta la terra come una prigione, ogni credente che invoca la redenzione – tutti costoro evocano inconsciamente il mondo dei fantasmi.

Fallo anche tu. M in piena coscienza!

Ci sarà, per coloro che lo fanno inconsciamente, una mano invisibile che magicamente tramuti in terraferma le paludi in cui essi necessariamente devono finire? Non lo so. Non voglio contestarlo ma – non ci credo.

Quando, sulla via del risveglio, passerai per il regno dei fantasmi, riconoscerai poco a poco, che essi altro non sono se non pensieri che tu vedi d’improvviso con gli occhi. Questa è la ragione per cui essi ti sono inconsueti e t’appaiono quali larve. Poiché il linguaggio delle forme è diverso dall’idioma del cervello [1].

Ed è arrivato allora quell’istante nel tempo in cui si compie la strana permutazione che in te può avvenire: dagli uomini che ti circondano vengono fuori – degli spettri. Tutti coloro che ti sono stati cari, diventano d’improvviso larve. Perfino il tuo stesso corpo.

Ề la più terrificante delle solitudini che pensare si possa. Ề un pellegrinare nel deserto. E chi in esso non trova la fonte della vita, muore.

[…] Questo è il segno – la stigmata – di tutti coloro che sono stati morsi dalla «Serpe del mondo spirituale». Sembra quasi che due vite debbano innestarsi in noi prima che il miracolo del risvegllo possa compiersi.

Quel che di solito è disciolto dalla morte, avviene in questo caso per lo svanire dei ricordi – talora per un improvviso interno capovolgimento.

Gli uomini tutti potrebbero arrivare a questo. E la chiave si prova puramente e semplicemente nel rendersi conto della «forma del proprio Io», della propria pelle, vorrei dire, immersi che si sia nel sonno; nel discoprire la stretta fessura traverso la quale la coscienza si fa strada fra lo stato di veglia e quello del sonno più profondo.

La lotta per l’immortalità è una battaglia per il dominio sui suoni e sui fantasmi che hanno in noi la loro dimora; e l’attesa del nostro «Io» di diventare Re, è come aspettare il Messia.

Tutto ciò che io ti ho detto si ritrova nei libri dei religiosi d’ogni popolo; l’avvento d’un nuovo Regno, la veglia, la vittoria sul corpo e la solitudine. Eppure dà codesti religiosi ci divide un abisso senza ponti. Essi credono che un giorno s’avvicini, in cui i buoni entreranno in Paradiso e i cattivi saranno sommersi nelle voragini dell’Inferno. Noi sappiamo che tempo verrà in cui molti si ridesteranno e verranno divisi dai dormienti così come i signori dagli schiavi, perché i dormienti non possono capire i risvegliati. Noi sappiamo che non esiste né il bene né il male, ma soltanto il vero e il falso. Essi credono che lo «lo star desti» sia tener aperti i sensi e gli occhi ed eretto il corpo durante la notte perché l’uomo possa recitare le sue preghiere. Noi sappiamo che lo «star desti» equivale al risveglio dell’Io immortale di cui l’insonne stato del corpo non è che la naturale conseguenza. Essi credono che il corpo debba venir trascurato e sia da tenersi a vile perché peccaminoso. Noi sappiamo che il peccato non esiste; che il corpo è il principio col quale dobbiamo incominciare; e che noi siamo discesi in terra per trasformarlo in spirito. Essi credono che occorre andare col proprio corpo in solitudine per purificare lo spirito. Noi sappiamo che, innanzi tutto, è il nostro spirito che deve andare in solitudine per trasfigurare il corpo.

Da te solo dipende di scegliere la tua vita – la nostra oppure la loro. A decidere deve essere la tua libera volontà.

 

* * *

 

Ti ho detto che il principio della vita è lo stesso nostro corpo. Chi sa questo può ad ogni istante mettersi in cammino.

Adesso voglio insegnarti i primi passi.

Tu devi distaccarti dal corpo, ma non come se tu lo volessi abbandonare. Devi  scioglierti da esso come uno che separi la luce dal calore.

Già a questa svolta guata il primo nemico.

Chi si strappa dal proprio corpo per volare traverso lo spazio percorre la via delle streghe, che hanno tratto dal loro rosso involucro terrestre un corpo di fantasma su cui esse cavalcano, come su di un manico di scopa, nella notte di Valpurga.

Le streghe credono di essere al sabba del diavolo, mentre il loro corpo giace in realtà privo d sensi e rigido nella loro camera. Esse scambiano semplicemente la loro percezione terrestre con quella spirituale; perdono il meglio per acquistare la parte peggiore; il loro è un depauperarsi, anziché un arricchirsi.

Già da ciò puoi capire che non è questa la via verso il risveglio- Per comprendere che tu non sei il tuo corpo – come gli uomini credono di se stessi – devi renderti conto delle armi di cui esso usa per poter conservare il dominio su di te. Certo che adesso stai ancora così profondamente in sua balia, che la tua vita si spegne se il suo cuore cessa di battere e che t’affondi nella notte non appena esso chiuda gli occhi. Tu credi di poterlo muovere. Ma è un’illusione: è, al contrario, lui che si muove e che solamente prende in aiuto da te la tua volontà. Tu credi di creare pensieri. No: è esso che te li manda perché tu creda che essi provengano da te e perché tu faccia tutto ciò che esso vuole.

Mettiti a sedere ben diritto e proponiti di non muovere membro né di batter ciglio e di restartene immobile come una colonna, e allora vedrai come esso,  avvampato d’odio, si precipiti su di te e ti voglia costringere ad essergli di nuovo soggetto. Con mille armi esso t’assalirà e non ti darà pace fino a che non gli abbia di nuovo permesso di muoversi. Dalla sua ira feroce, dalla precipitata maniera di combattere per cui esso lancerà freccia su freccia contro di te, potrai accorgerti – se sei accorto – di quanto esso tema per il suo dominio e quanto sia grande la tua potenza, della quale esso mostra di avere tanta paura.

Dominare il tuo corpo non deve essere lo scopo ultimo che tu persegui. Quando tu gli proibisci di muoversi, lo devi far soltanto per arrivare a conoscere le forze sulle quali si esercita il suo dominio. E sono legioni, quasi inassoggettabili per quantità. Esso le lancerà a battagliare contro di te, l’una dopo l’altra se tu non desisterai dal tenergli testa col mezzo, apparentemente così semplice, dello star seduto ed immobile. Sarà prima la brutalità rude dei muscoli che vogliono tremare e sussultare; poi il bollore del sangue che ti imperlerà il viso di sudore; e il martellamento del cuore; e la pelle percorsa da brividi così freddi da far rizzare i capelli; e l’oscillazione del corpo che ti prende, come se l’asse della gravità si fosse spostato. Tutte codeste forze tu potrai fronteggiare e vincere, e, in apparenza, grazie alla volontà. Ma non sarà la volontà soltanto; sarà in effetti un risvegliarsi superiore che le sta dietro, invisibile come per la magica virtù dell’elmo di Sigfrido. Ma anche questa vittoria è priva di valore. Perfino se tu riuscirai a renderti signore del respiro e del battito del cuore, non saresti che un fachiro – un «povero», per dirla in povere parole.

I campioni che in seguito il tuo corpo manda a fronteggiarti sono gli inafferrabili sciami di mosche dei pensieri.

Contro di essi non giova la spada della volontà. Più selvaggiamente tu la vibri contro di loro e più rabbiosi essi ti ronzano intorno e se, per un momento, ti riesce di levarteli di torno, ecco che tu cadi in letargo e sei vinto in un altro modo.

Imporre ad essi di star fermi è fatica sprecata. C’è un solo modo di scampare da essi: passare ad un grado superiore di risveglio.

Come tu debba incominciare per arrivarvi, è cosa che tu devi imparare da te.

Ề un continuo prudente andar a tastoni col sentimento, ed è nel contempo un ferreo proposito.

Questo è tutto ciò che te ne posso dire. Ogni consiglio che ti si voglia dare riguardo codesta lotta tormentosa è veleno. Qui c’è uno scoglio ad evitare e a sorpassare, al che tu non puoi provvedere che tu stesso.

Raggiunto che tu abbia questo stato, s’avanza il regno degli spettri del quale già ti ho parlato.

Apparizioni spaventevoli o radianti di luce ti si manifesteranno e vorranno farti credere da te esseri soprannaturali. E invece non sono che pensieri in forma visibile sui quali non hai ancora piena potenza.

Più solennemente essi s’atteggiano, più pericolosi sono: rammentalo!

Quando però tu abbia trovato «il senso più profondo» che si nasconde in ognuna di queste larve di esseri, tu riuscirai a vedere con l’occhio dello spirito non solo il loro nucleo vivo, ma il tuo stesso. E allora tutto quello che ti sia stato tolto, ti verrà mille volte restituito, come a Giobbe; allora tu sarai – di nuovo dove eri una volta, come volentieri affermeranno ironizzando gli stolti. Non sanno essi che è ben diverso rimpatriare dopo essere stati lungamente in terra straniera, dall’esser sempre rimasti a casa.

Se a te – una volta avanzato di tanto – sia fatta parte delle stesse forze miracolose possedute dai profeti dell’antichità, o se invece ti sia riservato l’entrare nell’eterna pace, è cosa che nessuno può sapere.

La nostra via porta fino al gradino della maturità. Arrivato che tu sia ad essa sei anche degno di ricever quel dono.

Una fenice tu sarai diventato in entrambi i casi. Ottenere di violenza quel dono è cosa che sta in tuo potere.

 

* * *

 

Uno tra coloro che conservano la chiave della magia è rimasto in terra e cerca e aduna i chiamati.

Così come lui non può morire, non può morire la leggenda che circola su di lui.

Sussurrano alcuni ch’egli sia l’Ebreo Errante; altri lo chiamano Elia; gli gnostici sostengono che si tratti di Giovanni Evangelista. E è soltanto naturale che ognuno lo veda diversamente; un essere che, come lui, abbia trasmutato il suo corpo in spirito, non può più restare legato alla rigidità di una qualunque forma.

Immortale, in verità, non è che l’uomo risvegliato. Astri ne Dei tramontano, egli solo resta e può mandare a compimento tutto quello che egli vuole. Non c’è Dio sopra di lui.

Non per niente la nostra via è detta una via pagana.

Ciò che il religioso ritiene Dio, non è che uno stato che egli potrebbe raggiungere se fosse capace di credere in se stesso. Così invece egli pone, con cecità inguaribile, un ostacolo dinanzi a sé oltre al quale egli non s’arrischia di spiccare un salto. Egli si crea un’immagine per adorarla, invece di trasformarsi in essa.

Se puoi pregare, prega il tuo invisibile te stesso: Egli è l’unico Dio che esaudisce le preghiere. Gli altri Dei riporgono pietre invece di pane.

[…] Quando il tuo invisibile Te stesso apparirà in te come entità, tu potrai riconoscerlo dal fatto che getterà un’ombra. Io stesso non sapevo prima chi io mi fossi fino a quando non ebbi a vedere il mio corpo come un’ombra.

 

(A cura di Eiael)

 


[1] Il «mondo dei fantasmi» o «mondo astrale» non è che quello di forza profonde, in parti individuali, in parte collettive e superindividuali, agenti nell’uomo integralmente considerato. Tali forze, non appena la coscienza sia svincolata dalla sua connessione col cervello, si proiettano e visualizzano in immagini simboliche. L’uomo vede allora come una esteriorità ciò che prima, essendogli interiore, non poteva realmente conoscere. Nel mondo dei fantasmi (o delle «Simili Nature», (come le chiamava il Kremmerz) egli può dunque conoscere se stesso e non deve conoscere che se stesso. Allora le apparizioni si rivelano larve, fantasmi, e subentra un temibile senso di solitudine. Questa esperienza è pertanto superata da un’altra, a cui più sotto alluderà lo stesso Meyrink col parlare del «senso più profondo» di ciascuna apparizione; dalle varie energie, di cui le immagini astrali sono simbolo, si può effettivamente risalire ad enti reali e cosmici, al cui influsso l’uomo ha soggiaciuto e che sono stati essenziali per la sua vita. Se un fuoco di conoscenza e di purificazione arde il mondo dei fantasmi, affiora da esso la prima esperienza del Regno di «Coloro che sono».

[ N. d. U.]

 

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