MORTE: LA GRANDE AVVENTURA E LA CREMAZIONE DAL PUNTO DI VISTA ESOTERICO

E s’ode una Parola. Il punto di luce radiante, già disceso, ora sale, al comando di quel suono udito appena, attratto dalla sua sorgente. Per gli uomini, è la morte, per l’anima, è la vita.

Raffiguratevi (simbolicamente) un uomo nel pieno della sua vita incarnata, confitto nell’esperienza fisica, e un altro in procinto di liberarsene. In piccolo, vi vedrete riprodotto il grande processo planetario di involuzione ed evoluzione, cioè le attività che causano concentrazione in due sensi opposti; come versare vita e luce in un vaso, o intensificare la loro irradiazione in modo tale che, per evocazione dell’anima, entrambe si ritraggano e si raccolgano nel centro che, all’origine, le emise. Questa (se solo poteste comprenderlo) è una frase che definisce l’iniziazione, in modo alquanto insolito. Alcuni brani, estratti dal Manuale della Morte conservato negli archivi della Gerarchia, serviranno forse a chiarire il fenomeno della morte, presentandolo in una prospettiva diversa. In quel testo sono contenute le «Formule che precedono il Pralaya»: descrivono il processo di astrazione, cioè la morte di qualsiasi forma, dalla formica all’uomo al pianeta. Esse si riferiscono solo alla vita e alla luce – la prima condizionata dal Suono, la seconda dalla Parola. I brani che voglio riprodurre riguardano la luce, e la Parola che la ritrae dalla forma ove la concentra.

«Ricorda, o discepolo, che entro le sfere conosciute null’altro esiste che la luce, reattiva alla PAROLA. Sappi che la luce scende e si concentra; che dal punto focale prescelto illumina la sua sfera; sappi che la luce sale e abbandona alle tenebre ciò che – nel tempo e nello spazio – ha rischiarato. Questo scendere e salire è chiamato vita, esistenza, morte dagli uomini; ma Noi, che camminiamo sulla Via illuminata, lo chiamiamo morte, esperienza, vita.

«La luce che scende si fissa sul livello dell’apparenza temporanea. Emette sette fili, in cui pulsano sette raggi. Da questi si dipartono ventuno fili minori, e ne nascono quarantanove fuochi, e ardono e splendono. Sul piano della vita manifesta, la parola annuncia: “Ecco!, è nato un uomo”.

«La vita avanza, appare la qualità della luce; fioca e offuscata, o radiosa, chiara ed effulgente. Così i punti di luce entro la Fiamma vanno e vengono. Per gli uomini, questa è la vita, la vera esistenza. Si illudono, ma servono il proposito dell’anima che rientra nel grande Disegno.

«E s’ode una Parola. Il punto di luce radiante, già disceso, ora sale, al comando di quel suono udito appena, attratto dalla sua sorgente. Per gli uomini, è la morte, per l’anima, è la vita.

«La Parola trattiene la luce nella vita; poi astrae la luce, e resta solo ciò che è la Parola stessa. La Parola è Luce. La Luce è Vita, la Vita è Dio».

La manifestazione del corpo eterico nel tempo e nello spazio ha in sé quelli che in senso esoterico si chiamano «due istanti di fulgore». Il primo precede l’incarnazione fisica, quando la luce in discesa (portatrice di vita) si concentra con tutta la sua forza attorno al corpo fisico e stabilisce un contatto con la luce propria della stessa materia, presente in ogni atomo. Tale concentrazione avviene in sette aree della sua sfera, così creando i sette centri maggiori che esotericamente ne regoleranno l’espressione e l’esistenza esterna. È un momento di grande splendore; è un punto di luce pulsante che esplode in una fiammata, in cui compaiono sette fuochi di luce più intensa. È un culmine nel processo dell’incarnazione, e precede di pochissimo la nascita fisica, anzi, la determina. La fase successiva, vista dal chiaroveggente, è l’interpenetrazione, per cui «i sette divengono i ventuno, e poi i molti»; la sostanza luce, l’energia dell’anima, comincia a pervadere l’organismo fisico, e si completa l’opera creativa del corpo vitale. Primo segnale ne è, a livello fisico, il «suono» emesso dal neonato. È l’apice. L’anima ha terminato la sua creazione: una nuova luce splende nelle tenebre.

Il secondo fulgore s’accende nel processo inverso, allorché l’anima preannuncia la restituzione e l’astrazione definitiva della propria energia intrinseca. Luce e vita si ritirano, e quel carcere che è il corpo si dissolve. I suoi quarantanove fuochi si estinguono; il loro calore e la loro luce sono riassorbiti dai ventuno, che, a loro volta, si ritraggono nei sette centri maggiori dell’energia. Allora suona la «Parola di Ritorno», e la coscienza, la qualità, la luce, l’energia dell’uomo si raccolgono nel corpo eterico. Parimenti, la vita si distoglie dal cuore. Ne segue un vivido lampo di pura luce elettrica, e il «corpo di luce» recide ogni legame con il fisico, si addensa per breve tempo nel vitale, e scompare. La restituzione è cosa fatta. L’intero processo per cui gli elementi spirituali si concentrano nel corpo eterico, che poi si astrae e si dissipa, sarebbe molto accelerato se, anziché all’inumazione, si ricorresse alla cremazione.

 

CREMAZIONE

È stato chiesto: «Che pensa, il Tibetano, della cremazione, e sotto quali condizioni è opportuno praticarla?» Per buona sorte, questa pratica si diffonde sempre più. Fra non molto, l’inumazione sarà bandita e la cremazione prescritta per legge – e sarà una vera e propria misura igienica e sanitaria. Quei luoghi insalubri, psichicamente, che sono i cimiteri, spariranno, così come ora svanisce il culto degli antenati, non solo in Oriente, ma anche in Occidente, dove si venera in modo altrettanto puerile il lignaggio avito.

Il fuoco dissolve qualsiasi forma; e quanto più rapidamente si distrugge il veicolo fisico, tanto più velocemente esso lascia la presa che ha sull’anima in atto di ritrarsi. In molti testi teosofici si sono scritte inesattezze circa il tempo che intercorre fra le successive distruzioni dei corpi sottili. Si può comunque affermare che quando la vera morte sia scientificamente accertata (dal medico a ciò preposto), e quindi, il corpo fisico non ospiti più alcuna scintilla di vita, si può subito procedere alla cremazione. Si ha morte vera, o totale, quando il filo della vita e quello della coscienza sono stati distolti dal cuore e dalla testa. Ma bisogna tener conto anche della giusta deferenza, priva di fretta: ai parenti occorrono alcune ore per adattarsi all’imminente scomparsa della forma esterna e amata, del defunto; inoltre sono indispensabili le operazioni di stato civile. Sia chiaro però che questo ritardo riguarda solo i rimasti, i viventi, non il morto. Affermare che il corpo eterico non deve essere dato alle fiamme troppo presto, nella credenza che sia bene lasciarlo vagare per parecchi giorni, è cosa assolutamente sprovvista di fondamento. Non esiste un valido motivo di indugio. Quando l’uomo interiore si ritrae dal fisico, abbandona anche l’eterico. È vero invece che quest’ultimo può aggirarsi a lungo nel «campo di emanazione» quando si ricorre alla sepoltura, e molte volte persiste sino alla completa disintegrazione del corpo denso. La pratica egiziana di mummificare e l’imbalsamazione usata in Occidente, rimandano anche per secoli il dissolversi del corpo eterico. Ciò è tanto più pernicioso quanto peggiori furono le caratteristiche del morto; in tal caso quel guscio eterico può essere occupato da entità o forze malvage. Il che spiega gli incidenti e i disastri cui sovente soggiacquero gli scopritori di tombe antiche, che ne trassero le mummie riportandole alla luce.

Quando si ricorre alla cremazione, non soltanto il corpo fisico viene immediatamente distrutto e restituito alla fonte, ma anche il vitale si dissolve con rapidità, e le fiamme trascinano le sue forze alla riserva universale delle energie vitali, di cui sono sempre state parti inerenti, con o senza forma. Dopo la morte e la cremazione queste forze persistono, ma assorbite dal tutto analogo. Meditate su questa fase, che dà la chiave per comprendere l’opera creativa dell’umanità. Se per riguardo ai sentimenti dei familiari o per necessità di stato civile la cremazione deve essere dilazionata, tale ritardo non dovrebbe superare le trentasei ore dopo il decesso; se non esistono valide ragioni, si può procedere anche dopo solo dodici ore: questo tempo è necessario e consigliabile per essere certi della vera morte.

In senso esoterico, la cremazione è necessaria soprattutto per due motivi: perché accelera la liberazione dei veicoli sottili (che ancora avviluppano l’anima) dall’eterico, riducendone il tempo da qualche giorno a poche ore; e perché coadiuva all’indispensabile purificazione del mondo astrale e raffrena «la tendenza al basso» del desiderio, che tanto ostacola l’anima che si incarna. Quest’ultimo, infatti, non trova appiglio, in quanto il fuoco respinge per sua natura l’attività formale del desiderio, ed è una delle massime espressioni del divino, con cui l’astrale non ha vero rapporto, per essere creato dall’anima umana, non dalla divina.

«Dio è un fuoco che consuma», si legge nella Bibbia in rapporto al primo attributo divino, quello del distruttore, che pone in libertà la vita. «Dio è amore» è frase che si riferisce al secondo aspetto, e raffigura Dio quale immanente. «Dio è geloso» significa Dio quale forma, circoscritta e limitata, accentrata in sé e priva di emissioni. Notate le tre espressioni corrispondenti: il Suono che distrugge; la Parola attrae; il Verbo individualizzato.

Alla morte cessa la facoltà di parlare quando la Parola risuona e ha luogo la restituzione. Poi anche la Parola non si ode più, assorbita e obliterata dal Suono, che elimina qualsiasi interferenza. Poi anche il Suono cade e si fa Silenzio; all’integrazione finale segue la pace perfetta. In termini di esoterismo, questo è tutto il processo della morte

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Sarà bene ora analizzare, per quanto possibile, la decima Legge, per giungere alla sintesi del suo contenuto: capiremo che la morte stessa è parte del processo creativo di sintesi. È indispensabile introdurre una nuova concezione, un nuovo modo di intendere la grande questione della morte.

Ascolta, o discepolo, l’appello del Figlio alla Madre, e obbedisci.

È chiaro, dal contesto, che queste parole si riferiscono all’abbandono del corpo fisico, ma in realtà significano assai più. Lo si può estendere all’intero rapporto fra anima e personalità, alla pronta obbedienza di questa (la Madre) a quella (il Figlio). Senza questa pronta rispondenza, che implica il riconoscere la Voce che annuncia, la personalità resterebbe sorda all’anima che comanda il distacco dal corpo. La risposta non è ancora abituale. Vorrei che rifletteste su quanto ciò implica.

Ripetiamo: l’aspetto Madre è la materia e l’anima – nel suo mondo – è il Figlio. La frase concerne dunque il rapporto fra anima e materia, e così pone le basi di tutte le relazioni che il discepolo deve imparare a riconoscere. L’obbedienza non è imposta: essa dipende dall’udire, e segue come sviluppo successivo. È un processo più facile di quanto immaginiate. Questa distinzione, a proposito dell’obbedienza, è notevole, in quanto imparare per ascolto è sempre lento ed è uno degli aspetti dell’orientamento; imparare vedendo è nettamente connesso al Sentiero del Discepolo e chiunque voglia servire in modo saggio ed efficace deve saper distinguere fra chi ascolta e chi vede. Rendersi conto della differenza significa mutare radicalmente la tecnica. Nel primo caso, si è decisamente sotto influsso e dominio della Madre, e si deve imparare a vedere. Nell’altro, si è ascoltato e si è in procinto di sviluppare la corrispondenza spirituale della vista. Si è pertanto reattivi alla visione.

La Parola risuona e annuncia che la forma ha assolto il suo compito.

Questo «proclama spirituale» dell’anima può avere un duplice scopo: decretare la morte, o semplicemente svincolare se stessa dal proprio strumento, la triplice personalità, per cui la forma ne resta priva, ma la personalità (e con ciò intendo l’uomo fisico, astrale e mentale) continua nelle sue funzioni. Se fosse di qualità molto alta, pochissimi s’accorgerebbero che l’anima è assente. Tale condizione si verifica sovente in età molto avanzata o in casi di grave malattia, e può durare per anni. Ma accade talvolta anche in tenera età, e ne consegue la morte o l’imbecillità, poiché è mancato il tempo di educare i veicoli personali. Una breve riflessione sulla «Parola che risuona» farà luce su molte circostanze che lasciano perplessi, e su stati di coscienza finora considerati come problemi insolubili.

Il principio mentale si organizza e ripete la Parola. La forma in attesa risponde e si distacca.

Nella fase qui considerata della morte, la mente agisce con autorità, e trasmette al cervello (dove è fissata la coscienza) l’ordine di staccarsi. L’uomo allora lo comunica al cuore (sede della vita) e, come gia sapete, inizia il ritiro. Ciò che accade in quegli istanti senza tempo che precedono la morte, nessuno sa, poiché nessuno finora è tornato a riferire, e se anche l’avesse fatto, probabilmente non sarebbe stato creduto.

La prima frase di questa Legge concerne dunque il trapasso dell’aspirante intelligente allorché lascia la forma del triplice uomo inferiore, se la si intende nei suoi aspetti minori; ma, per la Legge di corrispondenza, la morte di qualsiasi uomo, dal più primitivo all’aspirante, è regolata secondo uno stesso, identico processo; la differenza sta nel livello della coscienza; sia del processo stesso, che della sua finalità. Il risultato, però, è sempre il medesimo:

L’anima è libera.

Questa vera libertà può essere incerta e breve, per l’uomo primitivo, o durare a lungo – ciò dipende dall’efficienza interiore dell’aspirante; ne ho già parlato e non è il caso di ripetere. Gradualmente, la presa degli stimoli e degli influssi dei tre livelli inferiori della coscienza si allenta, la durata della dissociazione aumenta, il pensiero si fa più chiaro, e per fasi progressive si perviene a riconoscere l’essere. Tale chiarezza e tale progresso possono non essere più realizzati o espressi in occasione della rinascita, per le troppe limitazioni imposte dal corpo fisico denso; ma ad ogni incarnazione la sensitività cresce, e anche la conoscenza esoterica – quest’ultimo termine significando tutto ciò che trascende la vita consueta della forma o la comune coscienza nei tre mondi

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Qual è il risultato di questo ritrarsi, o piuttosto qual è la causa di ciò che chiamiamo morte o pralaya? Poiché questo trattato è presentato sotto forma di manuale di lavoro, continueremo con il metodo dell’elencazione. Il ritirarsi del doppio eterico di un uomo, di un pianeta, di un sistema, è prodotto dalle cause seguenti.

1.

La cessazione del desiderio. Questo dovrebbe essere il risultato di ogni processo evolutivo. La vera morte, conforme alla legge, è prodotta dal raggiungimento dell’obiettivo e quindi dalla cessazione dell’aspirazione. Questo, quando il ciclo perfetto volgerà al termine, sarà vero per il singolo essere umano, per l’Uomo Celeste e per lo stesso Logos.

2.

Raggiunta la vibrazione adeguata, il lavoro è compiuto e il ritmo ciclico rallenta progressivamente e si arresta. Quando la vibrazione o nota, sia percepita e risuonata perfettamente, al punto di sintesi con altre vibrazioni si produce la totale distruzione delle forme.

Il moto è caratterizzato, come sappiamo, da tre qualità:

a.

Inerzia,

b.

Mobilità,

c.

Ritmo.

Questi tre aspetti vengono sperimentati appunto in questo ordine, e presuppongono un periodo di attività lenta seguito da un periodo di movimento estremo. Questa transizione produce incidentalmente (mentre sono cercati la nota e il rapporto giusti) cicli di caos, di sperimentazione, di esperienza e di comprensione. Dopo questi due gradi di moto (che sono caratteristici dell’atomo o Uomo, dell’Uomo Celeste o gruppo, e del Logos o Totalità) viene un periodo di ritmo e di stabilizzazione in cui il punto di equilibrio viene trovato. La forza che fa oscillare le paia di opposti, e che produce infine l’equilibrio, è inevitabilmente seguita dal pralaya.

 

3. La separazione tra il corpo fisico e il corpo più sottile sui piani interiori, mediante la lacerazione della rete. Questo ha un triplice effetto:

 

Primo. La vita che animava la forma fisica (sia densa che eterica) e che aveva la sua fonte nell’atomo permanente, e di qui «permeava ciò che si muove e ciò che è immobile» (in Dio, nell’Uomo Celeste e nell’essere umano, così come nell’atomo di materia) si ritira completamente nell’atomo, sul piano dell’astrazione. Questo «piano dell’astrazione» varia secondo le entità di cui si tratta:

a.

Per l’atomo permanente fisico, è il livello atomico.

b.

Per l’uomo è il veicolo causale.

c.

Per l’Uomo Celeste è il secondo piano della vita monadica, sua dimora.

d.

Per il Logos è al piano Adi.

 

Questi livelli segnano il punto di dissolvimento dell’unità allorché entra nel pralaya. Qui occorre ricordare che è sempre pralaya quando è visto dal basso. Dal punto di vista della visione superiore, che vede il sottile che continua ad adombrare il denso quando non è in manifestazione, il pralaya è semplicemente la soggettività; non «ciò che non esiste», ma semplicemente ciò che è esoterico.

Secondo. Il doppio eterico di un uomo, di un Logos planetario o di un Logos solare, quando è distrutto si depolarizza rispetto all’Entità che vi dimora e perciò ne permette l’uscita. Non è più, detto in altre parole, una fonte di attrazione, né un punto focale magnetico. Diventa non magnetico, e la grande Legge di Attrazione cessa di dominarlo; da qui la disintegrazione e la condizione della forma che ne consegue. L’Ego cessa di essere attratto dalla sua forma sul piano fisico, inspira, e ritira la sua vita dall’involucro. Il ciclo giunge al termine, l’esperimento è compiuto, l’obiettivo (relativo da vita a vita e da incarnazione a incarnazione) è stato raggiunto e non resta più niente da desiderare; l’Ego o entità pensante perde perciò l’interesse per la forma, e volge l’attenzione verso l’interno. La sua polarizzazione cambia ed il fisico è infine abbandonato.

Similmente il Logos planetario nel Suo ciclo maggiore (sintesi nell’aggregato dei piccoli cicli delle cellule del Suo corpo) segue il medesimo corso; cessa di essere attratto verso il basso e verso l’esterno e volge lo sguardo all’interno; ritira all’interno l’insieme delle piccole vite che formano il Suo corpo, il pianeta, e tronca ogni collegamento. L’attrazione esterna cessa e tutto gravita verso il centro invece di disperdersi alla periferia del Suo corpo.

Nel sistema il medesimo processo è seguito dal Logos solare; dal Suo elevato piano di astrazione Egli cessa di essere attratto dal Suo corpo di manifestazione. Ritira il Suo interesse, e il paio di due opposti, lo spirito e la materia del veicolo, si dissocia. Con questa dissociazione il sistema solare, questo «Figlio della Necessità» o del desiderio, cessa di esistere ed esce dall’esistenza oggettiva.

Terzo. Questo conduce infine alla dispersione degli atomi del corpo eterico che tornano alla loro condizione primordiale. La vita soggettiva, sintesi di volontà e di amore in forma attiva, è ritirata. L’associazione è disciolta. La forma si disintegra, il magnetismo che la manteneva in una forma coerente non è più presente, e la dissoluzione è completa. La materia permane, ma la forma non esiste più.

Il lavoro del secondo Logos giunge al termine e l’incarnazione divina del Figlio è conclusa. Ma la facoltà o qualità inerente della materia permane ancora, ed alla fine di ogni periodo di manifestazione, la materia (sebbene distribuita nuovamente nella forma primitiva) è materia intelligente attiva arricchita di oggettività, e di accresciuta attività radiante e latente che è stata ottenuta con l’esperienza. Facciamo un esempio. La materia del sistema solare, allorché era indifferenziata, era materia intelligente attiva, e questo è tutto quanto se ne può dire. Questa materia intelligente attiva era materia qualificata da un’esperienza precedente e colorata da una precedente incarnazione. Adesso questa materia ha preso forma, il sistema solare non è in pralaya ma in oggettività, e questa oggettività ha per scopo l’aggiunta di un’altra qualità al contenuto logoico, quella dell’amore e della saggezza. Quindi, al prossimo pralaya solare, al termine dei cento anni di Brahma, la materia del sistema solare sarà colorata dall’intelligenza attiva e dall’amore. Questo significa letteralmente che l’insieme della materia atomica solare vibrerà allora in un’altra nota, diversa da quella dell’alba della manifestazione.

Possiamo applicare questo al Logos planetario ed all’unità umana poiché l’analogia è valida. Se ne ha la corrispondenza su scala molto minore nel fatto che ogni vita umana dota l’uomo di un corpo fisico più evoluto, maggiormente responsivo, e vibrante in diversa misura. In questi tre pensieri vi sono molte informazioni, se sono studiati attentamente e sviluppati logicamente.

 

4. La trasmutazione del violetto nel blu. Su questo non possiamo soffermarci. Semplicemente lo enunciamo e ne lasciamo l’applicazione agli studiosi cui il karma lo consente e che hanno sufficiente intuizione.

 

5. Il ritrarsi della vita, per cui la forma deve gradatamente dissiparsi. È interessante notare questa azione riflessa, perché i grandi Costruttori e i Deva che sono gli agenti attivi durante la manifestazione, e mantengono coesivamente la forma trasmutando, applicando e facendo circolare le emanazioni praniche, perdono del pari l’attrazione per la materia della forma e volgono altrove l’attenzione. Sul sentiero dell’espirazione (sia umana che planetaria o logoica ) questi deva costruttori (sul medesimo raggio dell’unità che desidera manifestarsi, o su un raggio complementare) sono attratti dalla sua volontà e dal desiderio, e assolvono il loro compito di costruzione. Sul sentiero dell’inspirazione (sia umana che planetaria o logoica ) non sono più attratti e la forma comincia a dissiparsi. Essi ritirano il loro interesse, e le forze (che pure sono delle entità) che sono gli agenti della distruzione, eseguono il necessario lavoro di disintegrazione delle forme; essi la disperdono – come è detto occultamente – «ai quattro venti del Cielo», ossia alle regioni dei quattro respiri – in una separazione e distribuzione quadruplici. Questa è un’indicazione che va attentamente considerata.

 

Sebbene non siano mai stati dipinti dei quadri raffiguranti le scene del letto di morte, né la drammatica uscita del palpitante corpo eterico dal centro della testa, come ci si sarebbe potuto attendere, tuttavia alcune regole e taluni obiettivi che governano questo ritiro sono stati comunicati. Abbiamo visto che la meta di ogni vita (umana, planetaria o solare) dovrebbe essere la realizzazione e l’attuazione di un preciso disegno, l’ottenimento di una forma più adeguata al servizio dello spirito; quando ciò sia raggiunto, l’entità che abita la forma ne distoglie l’attenzione, e la forma si disintegra avendo assolto la sua missione. Questo non sempre avviene in ogni vita umana, e nemmeno in ogni ciclo planetario. Il mistero della luna è il mistero dell’insuccesso. Questo conduce, quando sia compreso, ad una vita di dignità ed offre una meta degna dei nostri sforzi più ardui. Quando questo aspetto della verità sarà riconosciuto universalmente, ciò che avverrà quando l’intelligenza della razza sarà adeguata, allora l’evoluzione procederà con sicurezza e gli insuccessi saranno meno numerosi.

… … …

Torniamo al nostro tema principale, per vederne altri aspetti. In senso lato si può dire che le morti siano tre.

Prima fra tutte, la morte fisica, che costantemente ricorre e che è familiare a tutti proprio per la sua grandissima frequenza. Se solo poteste rendervene conto, in breve non ne avreste più alcun timore. Vi è poi quella che la Bibbia chiama la «seconda morte», che per l’attuale ciclo del mondo riguarda la liberazione da tutto ciò che di astrale ha presa sull’uomo. In senso lato, questa seconda morte si compie alla quarta iniziazione, quando persino l’aspirazione cessa, perché ormai inutile; la Volontà dell’iniziato è allora fissa e immobile, e la sensibilità astrale non gli è più di nessuna utilità.

Questa esperienza ha una sua peculiare corrispondenza, a livello molto inferiore, allorché nel candidato alla seconda iniziazione cadono tutte le emozioni. È un evento vero e proprio, di cui egli è consapevole. Fra la seconda e la terza, egli deve poi dar prova, in modo continuato, di non reagire all’«astralismo» e a ciò che è emotivo. La seconda morte prima discussa concerne invece la scomparsa del corpo causale all’atto della quarta iniziazione; con ciò l’antahkarana è completato, ed il rapporto fra Monade e personalità è diretto, libero e continuo.

La terza morte avviene quando l’iniziato abbandona, in modo definitivo e senza possibilità di ritorno, ogni rapporto con il piano fisico cosmico. È ancora lontana, necessariamente, per tutti i membri della Gerarchia, e attualmente è possibile e permessa solo per pochi del Concilio di Shamballa.

Ma Sanat Kumara non è fra questi. Egli superò questa «trasformazione» moltissimi millenni or sono, durante un grande cataclisma che inaugurò l’epoca della Lemuria, provocato appunto dalla Sua esperienza cosmica e dalla necessità di un afflusso di energie da Esseri extra-planetari.

… … …

Quando tutte le unità o le cellule del corpo del Logos planetario avranno realizzato il proprio fine, Egli sarà libero dalla manifestazione densa, e morirà al fisico.

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Qui sta il segreto della sofferenza e della morte su questo pianeta. Il suo Logos (esaminando la questione in senso macrocosmico) è, come sapete, uno degli «Dei imperfetti» citati ne La Dottrina segreta, anche se la Sua perfezione in realtà è tale da superare la comprensione dell’uomo – cioè la capacità di capire di una delle unità di uno dei regni che ne sono il corpo manifesto. L’equilibrio fra spirito e materia non è ancora raggiunto, anche se è ormai prossimo; le forze involutive sono ancora potenti e le energie spirituali frustrate, anche se in grado molto minore che ai primi tempi della storia umana; la razza-madre che succederà all’attuale vedrà conseguito l’equilibrio e inaugurata l’età dell’oro, così chiamata.

… … …

La morte è per l’uomo esattamente ciò che la fissione nucleare è per l’atomo; la grande scoperta di questa forma di energia lo ha mostrato. Il nucleo si scinde in due (questi termini non sono corretti in senso scientifico), e nella vita atomica si sprigionano luce e potenza immense; la morte ha effetti consimili anche a livello astrale: è un fenomeno che può dirsi parallelo alla liberazione dell’energia atomica. E lo stesso effetto, in diversa misura, è causato dalla morte di qualsiasi forma naturale, che spezza e distrugge la sostanza a fini costruttivi; le ripercussioni sono soprattutto astrali o psichiche e dissolvono, in parte, l’illusione circostante. La distruzione integrale di forme, negli anni di guerra, provocò mutamenti immensi nel mondo astrale, dissipando enormi accumuli di illusione, e fu ottima cosa. Minore sarà infatti la resistenza offerta alle nuove energie; più facile l’avvento di nuove idee, con i riconoscimenti implicati; appariranno nuove concezioni nel campo del pensiero umano, dipendenti da nuove «vie di impressione» che renderanno le menti umane sensibili ai piani gerarchici e ai propositi di Shamballa.

Tutto ciò è detto per inciso. Quanto ho esposto vi illustrerà certi rapporti fra la morte e l’attività costruttiva, e il suo valido contributo al processo di ricostruzione. La grande legge della Morte – che governa la sostanza nei tre mondi – è benefica e correttiva: ciò dovrebbe esservi chiaro. Senza dilungarmi, vi ricordo che quella legge, così potente nei tre mondi dell’evoluzione umana, riflette un proposito cosmico che controlla i livelli eterico, astrale e mentale cosmici del sistema solare. L’energia che provoca la morte è espressione del principio di quella VITA maggiore che comprende i setti sistemi planetari, manifestanti la vita del sistema solare. Ma quando, pensando e cercando di capire, si giunge in questi reami di pura astrazione, dobbiamo a un certo punto fermarci e tornare con la mente alle questioni più pratiche della vita planetaria e alle leggi che reggono l’umanità.

… … …

È quindi legittimo assumere che l’eliminazione proceda in modo più definito ed efficace che la restituzione. Altra questione da considerare è la seguente: interiormente, l’uomo sa che la vita fisica è governata dalla Legge della Rinascita, e che, prima di eliminare il corpo astrale, o astrale-mentale, deve passare per un interludio fra due incarnazioni, con due grandi esperienze:

 

1.

Un contatto (brevissimo o di lunga durata – ciò dipende dal livello evolutivo) con l’anima, cioè con l’angelo solare.

 

2.

La successiva, violenta rivoluzione verso la vita terrena, preludio a quella «discesa e invocazione» per cui:

a.

Si appresta alla nuova incarnazione.

b.

Fa vibrare la propria nota nella sostanza dei tre mondi.

c.

Richiama alla vita gli atomi permanenti, che compongono un triangolo di forza nel corpo causale.

d.

Raccoglie la sostanza occorrente ai corpi della sua futura manifestazione.

e.

Li colora delle proprie qualità e caratteristiche, già acquisite per esperienza.

f.

Dispone la sostanza eterica del proprio corpo vitale in modo da foggiare i sette centri, recipienti delle forze interiori.

g.

Sceglie di proposito i genitori che gli forniranno adeguato rivestimento fisico denso, e attende l’ora della incarnazione. Ricordate che i genitori provvedono solo il corpo fisico; il loro contributo si limita a un corpo di particolare natura, veicolo adatto ai contatti ambientali necessari a chi scende nella carne, e ad un insieme di rapporti sociali, solo però quando l’anima abbia notevole esperienza e il rapporto di gruppo sia ben stabilito.

Queste due crisi sono affrontate consapevolmente; l’uomo sa quel che sta facendo, nei limiti del proprio sviluppo evolutivo.

… … …

Prima di tutto ciò l’eterno Pellegrino, di sua volontà, deliberò «occultamente» di morire e assunse un corpo, o più corpi, per elevare le vite formali componenti; nel farlo, «morì», poiché per l’anima prendere forma e quindi immergersi in essa, e morire, sono sinonimi.

In secondo luogo, ciò facendo, l’anima ripete, in scala minore, ciò che fanno e fecero il Logos solare e planetario. Anche quelle grandi Vite si sottomisero alle leggi che governano l’anima nella manifestazione, anche se non a quelle del mondo così detto naturale. La Loro coscienza non si identifica con il mondo dei fenomeni, come accade a noi, almeno sin quando non ci solleveremo alle leggi superiori. La morte «occulta» di quelle grandi Vite offre occasione e dà la vita a tutte le entità minori.… … …

L’ascendente addita possibilità più remote, la meta e l’intento spirituali dell’incarnazione presente e di quelle che la seguiranno immediatamente. Concerne la lotta che l’uomo spirituale conduce per persistere oltre quanto ha conseguito, si che quando l’energia vitale temporaneamente si esaurisce e avviene la «morte della personalità», si trova «più vicino al centro della sua vita, del suo gruppo e della vita divina», come insegna la Saggezza Eterna. Le parole: «morte della personalità», si possono intendere in due modi definiti:

a.

La morte del corpo fisico, inevitabilmente seguita da quella del veicolo emotivo e dalla dissipazione della forma temporanea e mutevole che la quota di energia mentale ha assunto durante l’incarnazione.

 

b.

La «morte», soggettiva e mistica, «della personalità». Ciò indica che il punto focale per la distribuzione dell’energia si è trasferito dalla personalità (centro definito di forza) all’anima (altro centro).

… … …

Il segno della nascita raffigura l’occasione. La porta è aperta. Per l’anima che scende nella carne, è lo stesso segno di quando ne uscì, nella vita precedente. Se la morte fu, ad esempio, in Leo, la rinascita avviene nello stesso segno, e l’anima riprende il filo delle esperienze là dove si interruppe, ricominciando con la stessa qualità di energia e di apparato di cui disponeva quando lasciò il mondo – più le acquisizioni conquistate col pensiero e l’osservazione cosciente. In questo modo, l’anima conosce l’energia e le forze da impiegare nella vita che l’attende.

 

… … …

Pertanto, il termine «immortalità» implica assenza di tempo, ed esiste per tutto ciò che non è perituro o condizionato dal tempo. Ecco una frase su cui vale la pena di riflettere attentamente. L’uomo rinasce, ma non per impulso temporale. Ritorna nella carne per esigenze karmiche, attratto da ciò che, quale anima, ha posto in moto, perché sente l’esigenza di adempiere i doveri che ha assunto, perché è responsabile, perché certe sue precedenti infrazioni alla legge dei giusti rapporti umani glielo impongono. Quando ha soddisfatto tutti questi compiti, impegni, esperienze e responsabilità, entra per sempre nella «luce chiara dell’amore e della vita» e (per quanto lo riguarda) lo stadio infantile dell’esperienza terrena non gli serve più. Non ha più obblighi karmici nei tre mondi, ma è tuttora trattenuto dall’esigenza karmica di servire sino all’ultimo, per quanto gli compete, chi invece ancora è soggetto al karma. Questa grande legge agisce dunque in tre aspetti diversi sul principio di rinascita:

 

1.

Karma come dovere, che governa la vita nei tre mondi dell’evoluzione umana e termina alla quarta iniziazione.

 

2.

Karma come necessità, che regola la vita del discepolo progredito e dell’iniziato dalla seconda sino ad una certa iniziazione superiore alla quarta; questa gli apre la Via dell’Evoluzione superiore.

 

3.

Karma come trasformazione, elemento misterioso che presiede a quei processi di questa Via superiore, che consentono all’iniziato di trascendere del tutto il piano cosmico fisico, per vivere nel mentale cosmico. Questo aspetto del karma libera Entità come Sanat Kumara e i Suoi Assistenti del Concilio di Shamballa dal desiderio cosmico, che sul livello cosmico fisico si palesa come volontà spirituale. Questo concetto dovrebbe farvi riflettere. È evidente, per altro, che poco potrei dirvene, in quanto non conosco ancora pienamente ciò che implica.

… … …

Per riassumere, potrei affermare che l’orrore e la paura della morte basa sull’amore per la forma – la nostra, dei nostri cari, dell’ambiente che ci è consueto. È un amore che contrasta con tutto l’insegnamento delle realtà spirituali. La speranza del futuro, che ci liberi da questi terrori senza fondamento, sta nel trasferire l’attenzione dalla forma alla verità dell’anima eterna, cui è indispensabile vivere spiritualmente, in modo costruttivo e divino, immersa in veicoli materiali. E qui riaffiora l’idea di restituzione: mentre i concetti errati svaniscono, avanza quello di eliminazione, e si perviene al giusto punto focale. Occorre considerare l’idea di integrazione, per cui l’assorbimento nella vita dell’anima sostituisce l’assorbimento in quella del corpo. Dolore, solitudine, infelicità, decadenza, perdita – sono pensieri destinati a sparire con il mutare della reazione comune alla morte. Quando si saprà vivere come anima, concentrati a livello egoico, e la forma sarà intesa come semplice modalità espressiva, tutte le antiche, dolenti idee sulla morte a poco a poco si disperderanno, e quella grande esperienza sarà vissuta in modo nuovo e con gioia.

 

A cura di Eiael

 

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