+
«Saper se stesso, e l’origine propria celeste, qual sia:
questa, alle etèree sedi, è del salir la via».
(Chymica Vannus)
L’inizio della Via ermetica
Avete mai provato il disinteresse totale per ogni cosa? Il sentirsi solo in mezzo al caos quotidiano? Ad avere solo la misera volontà di alzarsi dal letto, andare a lavorare senza entusiasmo per mantenere la famiglia (allora ero giovane e avevo moglie e un bimbo di tre anni)? A sentire dentro di voi il ripetersi della domanda: da dove vengo, dove sono, dove andrò? Il piccolo limite della lunghezza della vita umana, il fruscio della potenza cosmogonica di dio, la morte, dentro di voi? Il risuonare di parole, parole, come bolle di sapone che appena spiccato il volo, al primo raggio di sole, si rompono ed è come se non fossero mai esistite? Io sì, l’ho provato! Anch’io avevo dentro di me un piccolo raggio di sole che frantumava ogni tentativo di superamento di questa profonda crisi. Questo “raggio” lo “maledivo” perché puntualmente arrivava al suo scopo: sbattermi con la faccia a terra.
Quello che provavo non era una profonda depressione fisica come diagnosticavano i medici, ma una crisi esistenziale. Le crisi esistenziali non si risolvono con antidepressivi, cioè agendo sul corpo fisico, ma con una profonda introspezione. Sperimentai una via, descritta in un libro di filosofia ermetica: tentai sia di imporre il silenzio intorno a me e in me che focalizzare la mia attenzione su quel “raggio” che metodicamente mi atterrava per “scoprire” cos’era; volli ascoltarlo con le “orecchie del cuore”. Mi occorse del tempo ma capii che quel raggio ero io che volevo trovare una ragione di vita più importante ed elevata che solo lo studio e la pratica della filosofia ermetica potevano darmi: insomma volevo uscire dalla massa degli uomini e assumere la coscienza di me stesso e del mondo circostante in un’unità con l’universo, una coscienza viva, volitiva pensante e in continua evoluzione.
Lessi un notevole numero di libri riguardanti l’ermetismo che era la strada che ormai sentivo voler percorrere e che credevo avrebbe potuto darmi dato la possibilità di raggiungere il mio scopo.
Molti di quei libri ripetevano le stesse cose, profonde ma teoriche: nessuno indicava una strada o, meglio, una pratica per provocare in se stessi l’esaltazione del proprio io interiore. Tutti chiarivano geroglifici, formule, spiegavano che l’uomo può evolversi senza limiti, ma nello stesso tempo non dicevano come fare. Io mi riempivo di nozionismo esoterico, ma non ero capace neanche un poco di manipolare la mia “anima” che era l’unica e sola cosa che mi interessasse fare per evolvermi e uscire dal tunnel in cui mi trovavo.
Ma ecco, dopo tanto destreggiarmi e soffrire, l’incontro con Kremmerz tramite la sua Opera Omnia. Fulmineamente, ripeto fulmineamente, capii che quello era il mio linguaggio, la mia strada (forse già percorsa in altra vita) e che finalmente per me, come solitamente si dice, dopo le tenebre sarebbe arrivata la luce.
Dopo varie ricerche mi misi in contatto con un Circolo di studiosi e praticanti degli insegnamenti kremmerziani e fui “affidato” a una persona che dopo aver ascoltato le mie intenzioni decise di accettarmi nel loro Circolo. Mi disse poche parole e mi consegnò le prime pratiche rituali: ci accordammo di risentirci quando io lo avessi voluto.
È inutile dire che, effettuato il primo rito e digiuno di luna nuova, indispensabile per l’inizio del rito quotidiano, mi misi subito all’opera e che giorno per giorno, senza mai alcuna interruzione, per lungo tempo seguitai la pratica.
Ciò che avveniva in me era una cosa che tenterò di esprimere a parole, anche se ciò non è facile perché tutto si svolge nella propria interiorità: come con un ascia mi sentii spezzare in due; due stati di coscienza in netto contrasto fra loro. Il primo era la coscienza attuale, il secondo la coscienza innata che allora definivo raggio-bambino.
Preciso che oltre i riti e i digiuni rituali rileggevo con meticolosità gli insegnamenti kremmerziani, non concentrandomi intellettualmente sulla “scorza” delle sue parole, ma cercando di “percepire” l’idea chiusa nelle sue espressioni: voglio dire che “sorbivo lo spirito” di quelle parole con avidità. Questo modo di fare mi dette risultati meravigliosi, intuii cose su cose e, cosa più importante, improvvisamente sentii che dovevo diminuire senza smettere la lettura di qualunque libro di esoterismo scoprissi e, invece e soprattutto, ascoltando solo il mio io interiore operare ritualmente. Questo perchè? Perché “sentivo e sento” che tutto è dentro di noi, che la scintilla divina in noi tutto può realizzare senza alcun limite: è solo necessario potenziare questa volontà mercuriale o mentale.
L’eggregore myriamica, mediante i suoi riti, oltre aiutare il discepolo a “velocizzare” il proprio ascenso personale ha una grande altra capacità che, secondo me, sposta il punto di unione e visione della Vita: ti fa essere te stesso al di là di te stesso, ti offre la grandiosa, sublime possibilità altruistica di donare amore magico ai propri simili. Amore magico (divino) che nulla chiede e tutto dà; amore anche terapeutico che, quando espressamente richiesto dall’infermo, può addolcirne i dolori o guarirne il male.
Che altro posso dire: ringrazio Kremmerz che per la sua bontà e amore verso i suoi simili ci ha lasciato tanti insegnamenti, leali e pratici, e che ha fondato la vera “Margarita Pretiosa”, cioè la Fratellanza di Myriam che è una delle tante Vie ermetiche come lui stesso precisa. Una Via che va percorsa con tanto amore, pazienza e in piena umiltà. E la consapevolezza di ciò è indice di grande saggezza.
I giorni del mio “diavolo”
Preciso che la parola “diavolo” assume in questo contesto il significato di energie, forze, enti bassi e grezzi, di quel disordine, cioè di quel caos formato dai quattro corpi nella loro unità (saturno, luna, mercurio, sole); caos di cui, in genere, l’uomo ordinario ne è il “composto”. Colui che tenta la Via della propria evoluzione deve inesorabilmente rendere omogeneo il proprio costrutto riportando l’equilibrio in se stesso.
Ciò che qui esprimo sono fasi della mia esperienza durante la pratica myriamica ed esclusivamente riferita alla sola esecuzione del rito quotidiano e in Via isiaca.
Come già espresso preciso che mentre procedevo con le pratiche rituali avveniva in me una cosa straordinaria e cioè che «come con un ascia mi sentii spezzare in due, ecc…». Continuai a praticare ininterrottamente per molti mesi il rito myriamico. La mia confusione aumentava ma era totalmente diversa da quella che vivevo prima: le forze e gli enti benefici, che il rito apportava e risvegliava nel mio essere, si comportavano come un fuoco dolce e temperato che lentamente ma inesorabilmente cominciava a “chiarificare” e “purificare” o meglio “ordinare” questo caos. Nel recitare le preghiere ermetiche quotidiane mi concentravo pronunciando le parole chiaramente anche se nel contempo nella mia testa emergevano, direi quasi prendevano vita, centinaia e centinaia di pensieri senza ordine di tempo, cioè da me pensati quindici anni, sei mesi, un giorno o otto mesi, o tre ore prima. Questi pensieri mi confondevano ma non mi turbavano e riuscivo a sentire il risuonare ritmico delle parole che pronunciavo nell’eseguire il rito quotidiano. Con enorme sforzo mantenevo la coscienza e la concentrazione nell’atto che stavo facendo e aumentavo l’attenzione nel momento in cui pronunciavo il nome e la malattia degli infermi che si erano rivolti alla nostra catena, cercando di immaginare la loro fisionomia o la fisionomia del direttore del rito. Confesso però che allora questa immaginazione precisa, pittorica degli ammalati o del capo della catena, immaginazione su cui insiste tanto Kremmerz, era invece solo molto sfocata e a momenti: in prevalenza e al suo posto roteavano in me fatalmente i suddetti pensieri. Comunque continuavo impassibile le mie preghiere, aiutato anche dalla consapevolezza della presenza di altri fratelli e sorelle che nella mia stessa ora pregavano e che sottilmente sentivo vicini: eseguivo l’ultima precisa operazione e concludevo il rito. Terminato il rito, dopo qualche minuto quello scompiglio di pensieri spariva come nebbia al sole e io mi sentivo sereno, calmo interiormente e con un senso di amore indicibile per tutti e tutto. Questo impagabile stato di coscienza però non perdurava per tutta la giornata. Durante il passare delle ore il lavoro che svolgevo in Ospedale (dove “le forze del male” vivono come sciami di cavallette), i contatti con gli infermi e i colleghi, nonché con gli altri inevitabili impegni che la vita quotidiana impone a tutti gli esseri erano le “cause” degli effetti che lentamente ma inesorabilmente re-involvevano il mio “prezioso” stato di coscienza e mi riportavano se non proprio al punto di partenza, molto vicino. Un piccolo potere lo avevo però conquistato: la consapevolezza di ciò e la forza di continuare, forza che proveniva dalla mia volontà interiore e dalla certezza di fare del bene ai miei simili, infermi o meno, con amore, purità di intenti, in un’azione libera da qualunque ritorno materiale o morale.
Passarono ulteriori mesi di continua pratica. Riuscii a “fermare” i pensieri vaganti che mi osteggiavano durante il rito con l’unico metodo possibile e cioè privandoli della mia attenzione: ora il “silenzio” aveva preso il loro posto e mi era facile la concentrazione nella mia volontà del mio io interiore. Però anche con questo metodo i pensieri ugualmente tentavano di ri-affiorare, ma subito non avendo più “alimentazione” si allontanavano e si spegnevano. Mantenendo la quotidianità della pratica del rito col passare dei giorni ottenni quasi senza più “sforzo” mentale il “silenzio” in me e fuori di me. La serenità, la calma perduravano quasi tutta la giornata e io ero ormai sicuro di essermi liberato di una buona parte del mio “diavolo” e mi preparavo ad affondare ancor di più “il magico coltello” nella mia anima per ottenere un altro salto di coscienza. Credevo ciò una realizzazione ormai facile e lineare, ma invece mi ingannavo.
Le forze e gli enti contrari alla mia evoluzione e alla realizzazione sublime e grandiosa della catena della Fratellanza myriamica presero altra via e “forma”. Non più sciami di pensieri che “aggredivano” il mio essere, ma al loro posto una instabile identità: ogni giorno mi sentivo un uomo diverso; devo dire però che questo alternarsi di stati di coscienza avveniva con dolcezza senza che il mio essere subisse traumi violenti (venivo cotto a fuoco lento). Di più. Il mio “diavolo” cominciò a risvegliarsi insinuando nel mio animo o corpo lunare sottili dubbi e insicurezze che prima vivevano “addormentati” in me: valeva la pena che io operassi tutto ciò che stavo praticando? Che continuassi il rito myriamico terapeutico per gli infermi dal momento che esistono gli Ospedali? La scienza medica ha fatto passi da gigante e io credevo ancora nella magia? La vita che conducevo, umile, parca e continente, il tentativo di voler riuscire a sentirmi un essere unitario con l’Essere Universo, erano un’utopia o erano la Via da seguire?
Non nascondo lo sconforto ma soprattutto il sentimento di sfiducia e vergogna che sentivo in me e per me nell’aver coscienza di tutto ciò: ero sospinto a pensare di rinnegare tutto. Che profonda delusione era in quei momenti la mia!
Ma ricordai che Kremmerz diceva, in un suo scritto, che il misto nella propria dissociazione avrebbe potuto provare stati di coscienza analoghi e invitava a continuare con forte e ferma volontà: « Qui si parrà della tua nobilitade, vai avanti, o mio diletto discepolo, e non aver mai paura del male operando il bene».
Forte di questo ricordo e della mia ferma e inflessibile volontà decisi di nuovo di non ascoltarmi, di non riconoscermi nei miei stati d’animo e nelle mie emozioni, di “essere me stesso al di là di me stesso”, continuai costantemente la recitazione del rito quotidiano. Furono giorni lunghi e duri, ma finalmente tutto dapprima cominciò ad attenuarsi e poi si stabilizzò: avevo “partorito” la mia prima personalità relativamente “fissa”. Il rito e la mia volontà avevano realizzato il loro effetto: avevo ottenuto una coscienza più elevata e una sua relativa stabilità; un equilibrio interiore e una profonda serenità, insieme al grandioso sentimento della mia unità con l’Essere Universo che mi faceva e fa “amare” magicamente e non misticamente tutti e tutto con neutralità. Il mio “diavolo” per ora si era acquietato. Io ero soddisfatto ma non pago del mio stato. Sentivo sottilmente di aver bisogno di altri mezzi per poter stimolare e poi “dialogare” nuovamente con il mio “diavolo”, condizione necessaria per ottenere un altro relativo rapido salto di coscienza.
Strada facendo riapparve il mio “diavolo”
Ecco, prendi ciò che hai chiesto, mi disse il più anziano fratello. Ma come devo procedere, gli chiesi. Questo non domandarlo a me, rispose, ma a te stesso; più avanti, quando avrai capito e operato, potremo, se vuoi, riparlarne e ci potremo confrontare: ma ora sorbiamoci un buon caffè. Parlammo di vari argomenti non inerenti all’ermetismo e dopo qualche ora mi avviai alla stazione. Salii sul treno e come il principe Myškin, l’Idiota di Dostoevskij, con il mio «fagottino di una certa importanza», che tenevo stretto fra le mani, me ne ritornai a casa.
Continuai assiduamente le mie pratiche che avevano ora tre direzioni. La prima, l’applicazione delle forze della catena myriamica per fini terapeutici. La seconda direzione quella dell’evoluzione del mio essere per realizzare con i nuovi mezzi (riti) in mio possesso stati di coscienza sempre più ampi corrispondenti a una libertà mentale ancor più libera rispetto all’attuale. La terza, la realizzazione tangibile nella realtà oggettiva di cose da me pensate e volute.
Gli insegnamenti kremmerziani vogliono che l’uomo integrato, o meglio il mago, non è tale se non riesce a mettere in atto ciò che pensa e vuole: se non arriva a ciò, dice Kremmerz, esso passa la propria vita trastullandosi con la magia.
La pratica terapeutica, attraverso il rito quotidiano, la svolgevo con la necessaria neutralità; il desiderio si era trasformato in volontà di guarire gli infermi; il mio essere era divenuto indifferente ai successi e agli insuccessi; rispetto al rito quotidiano non ero più passivo ma attivo e avendo preso coscienza dell’atto avevo liberato l’azione; tutto ciò ormai era da me mentalmente sostenuto e fissato e non mi destabilizzava più: ora potevo affrontare la seconda e terza direzione con una indipendenza totale rispetto alla prima.
Per quanto mi sentissi bene in questo stato sapevo che la mia era una coscienza ancora “normale” e la prova era che il mio “diavolo” si era acquietato: esso sembrava ora essere soggetto al mio “dio” interiore. Ma io avvertivo la sua sottile presenza e il suo essere che ancora “viveva” in me: aveva solo cambiato “sistema” di azione e “forma”. Secondo il mio pensare il “diavolo” è un ente che può vivere solo in questo mondo sub-lunare. Il “diavolo” composto di istinti, passioni, emozioni assimila in sé tutte le forme imperfette, cioè si “nutre” di tutte quelle forze ed enti che una “piccola mente umana” può creare in continuazione e in notevole quantità e da questi “esseri” prende la sua “potenza”: per esserne libero occorrono una coscienza e uno stato mentale tali da reggersi unicamente su se stessi come ente. E perciò tentavo di realizzare la purificazione ermetica con il “distacco” rispetto alle “apparenti realtà” della vita quotidiana pur vivendole interamente nella loro contingenza. Ma la mia “Guida interiore” mi sussurrava che non era proprio così. Per il distacco e le apparenti realtà della vita quotidiana poteva momentaneamente andar bene, ma l’”annientamento” del “diavolo” era cosa innaturale. E dolcemente mi diceva (la Voce interiore) che tutto era Uno, che dovevo “amare” il mio “diavolo” cercando di elevarlo; esso, insisteva la Voce, è la tua forza di redenzione … pensaci non con il cervello ma con “l’intelligenza del cuore” … Si potrà credere che mi trovassi di nuovo in confusione, ma no! Era ermeticamente davvero una concreta scoperta. Una relativa conquista sui pensieri vacanti e tutto il resto che potrei chiamare come il Guenon conquista sulle «Le Forze della contro iniziazione». Di Guenon, autorevole ermetista, non condivido diverse idee ma lo riconosco come un grande ricercatore della Conoscenza.
Ma ritorniamo in me: feci una profonda introspezione e scrissi in un foglio di quaderno tutto quanto nel mio attuale stato di essere doveva essere emendato e corretto. Decisi le priorità da affrontare ed eliminare, scelsi il ritmo e cominciai ad affondare il “magico coltello” entro me. Per diverso tempo il mio “diavolo” usava lo stesso sistema che io avevo adoperato con “lui” nei confronti della moltitudine dei pensieri che senza un nesso e senso logico destava in me: non mi prestava attenzione, perlomeno questo era quello che “sentivo”. Il mio corpo lunare non rispondeva ad alcuna stimolazione: tutto in me era fermo e ristagnante e avevo la sensazione di vivere senza alcuna meta, senza alcun progetto; ero divenuto un morto vivente. Questo stato di coscienza era duro e difficile da sostenere. Sapevo che nel cammino come avrei dovuto provare e sorreggere stati nella mia anima tumultuosi, ondivaghi e rumorosi, così avrei dovuto subire e sostenere indifferenza, “calma piatta” e silenzi apparenti allora insopportabili; analogicamente al mare: tempesta o lunga bonaccia. Il mio “diavolo”, come ho già detto, adottava ora questo sistema: tentava di abbattermi con lo sconforto, insinuando nel mio animo debolezza e impotenza.
Io continuavo a “martellarmi” e a “martellare” il mio “diavolo” con volontà marziale, ma lo stato di coscienza del momento perdurava. Cominciò a prendermi la paura e una grande delusione insieme a una profonda angoscia: reputavo di aver raggiunto il limite massimo rispetto alla mia evoluzione, ma soprattutto pensavo che non valeva la pena di continuare e permanere in tale pressante e doloroso stato di coscienza. Questi elementi premevano tanto nel mio essere che stavo seriamente prendendo in considerazione il fatto di abbandonare tutto per riprendere a vivere la vita volgare di tutti gli uomini. Poi improvvisamente mi balenò l’idea che stavo sbagliando metodo.
Per evolvere non dovevo usare la volontà marziale che come dice Kremmerz «converte i giovani iniziandi in guerrieri eraclei che pretendono esercitare il potere creatore coi mezzi distruttivi. La volontà, intesa come forza o energia della immaginativa, è propria delle coscienze schiave di pervenire. Non serve a nulla».
Ed io sentii, senza ombra di dubbio, che ero dominato non dalla volontà ma dalla voluttà di evolvere. Questa consapevolezza mi ridette istantaneamente il “potere”, la forza e la fiducia e compresi all’istante che ero completamente fuori strada.
E l’ermetista, se è tale, scoperto l’errore deve subito porvi rimedio.
Assunsi un atteggiamento umile ma dignitoso, cioè senza “bassezza”, verso me stesso, iniziai una silente magica preghiera rivolta alla mia Guida occulta chiedendo che mi illuminasse il cammino: dopo un breve tempo ottenni risposta. La volontà di elevare la propria coscienza non è né il desiderio, né l’appetenza e tanto meno l’idea fissa del suo raggiungimento a ogni costo; non è lo sforzo permanente né l’incaponirsi a proiettare in sé o fuori di sé un’idea che deve diventar realtà malgrado ogni “diavolo” ostacolante. Io invece stavo praticando e operando in tal modo.
Il mio “uomo storico” (tanto per ricordare la parola usata da Kremmerz) mi suggerì di più: l’ermetismo non riconosce volontà magica che non sia, come l’Ermes, creatrice con dolcezza. Né è possibile la creazione in sé e fuori di sé con la violenza: tanto meno è possibile senza uno stato di integrità di coscienza libera da ogni servitù.
Dimentico della legge che nulla si crea e nulla si distrugge, fino ad allora avevo considerato il mio “diavolo” solo un nemico estraneo a me da abbattere e annientare usando la forza di un impavido guerriero. Invece ora sapevo che il mio “diavolo” era parte di me, che non potevo distruggerlo, ma che dovevo solo trasformarlo o meglio sublimarlo con l’unica arma possibile, l’amore. E allora cominciai ad amare magicamente tutte le mie contrarie ed eterogenee forze, sapendo che solo nella forma in cui si presentavano potevano essermi dannose, mentre liberandole dalla loro apparenza (forma lunare) e usando la loro sostanza o prima virtù, le potevo catalizzare nella mia volontà per potenziarla ed elevarla: questo perché avevo già la coscienza dell’unità universale e la conoscenza della relazione e affinità che intercorre tra tutte le cose che il mondo universo contiene.
Utilizzando questo metodo magico il mio “diavolo” cominciò a manifestarsi, ma in forma dolce, come se fosse stanco di essere “diavolo” e fosse d’accordo a subire la sua trasformazione ed elevazione in Lucifero, quale era in origine. Diventammo “amici”, i dialoghi interiori divennero sinceri e ambedue, la mia “volontà divina interiore” e il mio “diavolo-Lucifero”, miravano allo stesso scopo. E io ottenni un nuovo e più elevato stato di coscienza che subito fissai e decisi di far perdurare per qualche tempo.
La terza direzione, cioè la realizzazione tangibile nella realtà oggettiva di cose da me pensate e volute, sinceramente non mi fu difficile: iniziai con piccole idee che concretizzai nell’ambito familiare determinando serenità, pace, libertà e amore tra me, mia moglie e mio figlio; i nostri rapporti si elevarono e si unirono ancor più di prima e dopo oltre trentanove anni perdurano in tale stato. Poi, nell’ambito del lavoro: con le mie sole forze, cioè senza ricorrere ad aiuti esterni (raccomandazioni di uomini più in “alto” di me), realizzai il mio miglioramento economico riuscendo ad ottenere un posto più idoneo alla mia personalità e più retribuito, che anche moralmente più mi completava. Riuscivo a realizzare o frenare concretamente piccoli eventi anche in altre contingenze della vita e questo sempre mediante una costante e attiva pratica magica: regnum regnare docet.
Stavo di nuovo bene e questo fu per un relativo tempo, ma presentivo che la Via myriamica o isiaca non mi “bastava” più. La Via solare o alchimica bussava alle porte del mio cuore: era il nuovo punto di partenza. Dopo letture che trattavano l’alchimia, ma soprattutto dopo forti introspezioni e seguendo i palesi insegnamenti di maestra Natura, intuii, senza ombra di dubbio, ciò che serve sapere per poter ottenere la chiave di accesso alla Via solare o alchimica. Con un po’ di “timore” ma sicuro che la “scoperta fatta” non poteva essere che “quella”, di lì a poco chiesi appuntamento a chi di dovere per esprimere la mia volontà di iniziare la via alchimica o solare. Fui ricevuto e mi fu permesso di “partire” per il difficile viaggio, mediante la consegna di pratiche appropriate.
Ora ho compagni di viaggio, ma essenzialmente sono solo, come solo deve essere un mago. Devo lavorare per raggiungere il progetto finale dell’iniziato o mago: quello di divenire in essenza un essere compiuto, Verbum dell’Intelligenza unica universale.
Eiael (Paolo Perugini)